Alleanze e contrasti sulla via della seta

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Accantonato ma non risolto il contrasto fra Lega e Cinque Stelle sull’Alta velocità ferroviaria, il conflitto che si è aperto sui rapporti economici e commerciali con la Cina minaccia di essere ancor più devastante per le implicazioni internazionali che riveste e per l’impatto che può avere sugli equilibri geostrategici e sulla stessa collocazione del nostro Paese nella complessa partita che si è aperta sullo scacchiere mondiale. L’allarme lanciato dagli Stati Uniti circa l’”opacità” dell’operazione e le possibili conseguenze sulla “operatività” della Nato, è il segnale di una tensione che potrebbe accentuarsi con conseguenze imprevedibili. Le ripercussioni sul piano interno sono state immediate: da una parte il premier Conte e il suo vice Di Maio (che nei mesi scorso è stato per ben due volte a Pechino) si sono affrettati a dare rassicurazioni sui limiti dell’accordo commerciale in via di definizione e sull’assoluta fedeltà dell’Italia alle alleanze internazionali e al quadro europeo; dall’altra Matteo Salvini ha mostrato molta prudenza, visto che – ha fatto dire ai suoi capigruppo parlamentari – “sono in ballo la sicurezza e la sovranità nazionale”. La disputa ha coinvolto anche il presidente della Repubblica, che aveva rassicurato tutti sulla liceità delle intese in discussione, con parole dalle quali la Lega ha poi preso le distanze adombrando una minaccia di “colonizzazione” dell’economia italiana da parte di Pechino.

Ad oggi manca una settimana dalla visita ufficiale di Xi Jinping in Italia, e quindi tutto può succedere: certo è che il nostro Paese si rivela ancora una volta marca di frontiera fra Est e Ovest, oggetto delle ambizioni geopolitiche del gigante cinese e per questo osservato speciale dell’alleato americano. Nonostante i tentativi di ridimensionamento da parte italiana, la “Via della seta” è qualcosa di più di un semplice accordo commerciale; e il memorandum di intesa che dovrebbe essere firmato a Roma trascende in qualche modo l’ambito della collaborazione bilaterale sulla connettività euroasiatica, inquadrandone gli aspetti commerciali, culturali e scientifici in una visione globale dello sviluppo delle relazioni internazionali che ha precisi riferimenti ideali. Se non verrà modificato prima della firma, il documento in discussione parla di rafforzamento dei rapporti politici fra Italia e Cina e di impegno condiviso “per realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli eccessivi squilibri macroeconomici, e opporsi all’unilateralismo e al protezionismo”. Comprensibile che l’Amministrazione Trump abbia letto con qualche sospetto queste frasi, così come abbia reagito con fastidio alla riaffermazione della validità degli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici. Il dissenso americano sulla strategia commerciale cinese verso l’Europa va insomma ben oltre l’avvertimento sui possibili “investimenti predatori” del dragone fuori dai propri confini. La posta in gioco è ben più alta. In proposito, uno studioso che per nascita, formazione culturale e impegno accademico si colloca a cavallo tra Asia e Stati Uniti, Parag Khanna, ha teorizzato l’imminente fine del “secolo americano” e l’inizio del “secolo asiatico” destinato a mettere in discussione l’ordine unipolare occidentale ed avviare una fase di transizione verso una realtà nuova in cui non ci sarà più una sola potenza dominante ma un equilibrio almeno tripolare: Usa, Cina, Europa, con qualche incognita come la Russia e il mondo arabo. Logico che gli Stati Uniti di Donald Trump, pur tentati dal neoisolazionismo, si preoccupino di eventuali fughe in avanti di alleati indisciplinati come l’Italia, trovando nella Lega di Salvini (pronta a farsi perdonare le antiche simpatie putiniane) una sponda a quanto pare più affidabile del Movimento Cinque Stelle.

di Guido Bossa