Alleanze fuori dal Comune

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A cento giorni dalla nascita del governo di unità nazionale, mentre Mario Draghi marcia abbastanza spedito nell’attuazione del suo programma di emergenza, i partiti che lo sostengono in Parlamento hanno qualche difficoltà a perseguire le rispettive strategie, tanto da far temere che alcune fibrillazioni, visibili soprattutto nell’area di centrodestra ma non solo in quella, possano ripercuotersi sulla tenuta dell’esecutivo compromettendone la stabilità. E’ difficile che si arrivi a tanto, fatta salva l’irriducibile opposizione di Fratelli d’Italia, vista la consapevolezza di tutti gli altri della difficoltà a giustificare davanti ad un’opinione pubblica stremata dalla pandemia il fallimento di quella che viene percepita come una coalizione da ultima spiaggia; eppure l’insistenza con la quale il neosegretario del Pd denuncia l’ambiguità di Matteo Salvini, che si ostina a stare con un piede dentro e uno fuori dalla maggioranza, induce a ritenere che difficilmente l’attuale quadro politico possa restare immutato fino al termine della legislatura. Certo, se dipendesse da Enrico Letta, la Lega dovrebbe accomodarsi all’opposizione con tutte le conseguenze che una simile scelta si porterebbe dietro, oppure sconfessare il suo leader; ma alla lunga lo stesso Salvini avrà difficoltà ad affrontare una campagna elettorale nazionale stando al governo col Pd e lasciando a Giorgia Meloni il monopolio della protesta.

Insomma per la Lega una situazione imbarazzante comunque la si metta, che potrebbe precipitare prima del previsto dato che, se le elezioni politiche sono ancora lontane, le amministrative si avvicinano rapidamente. In autunno si vota in Calabria per la Regione e a Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna  per i sindaci e i Consigli comunali. Trattandosi del primo appuntamento elettorale dopo lo scoppio della pandemia, il test, che riguarda complessivamente oltre mille Comuni, ha il sapore di una verifica degli umori del corpo elettorale con tutto ciò che ne consegue.

Per il centrodestra, in particolare, si tratta di trovare la conferma dei sondaggi che continuano a dare all’alleanza Lega-Fratelli d’Italia-Forza Italia-formazioni minori, la maggioranza delle intenzioni di voto. Ma la partita riguarda soprattutto la scelta del capo della coalizione, che di comune accordo deve essere il leader del partito più votato, finora Matteo Salvini, ma domani? Il segretario della Lega, insidiato da Giorgia Meloni che ora lo tallona a pochissimi punti di percentuale (21% in calo contro 17% in crescita), ha cercato di mantenere il suo ruolo anche nella delicata fase della selezione dei candidati a sindaco nelle città simbolo di Roma e Milano, indicando rispettivamente Bertolaso e Albertini, entrambi vicini a Berlusconi, ma ha fatto un buco nell’acqua. La Meloni vuole un suo uomo per la capitale (ma esita a scendere in campo direttamente, come pure sarebbe naturale), e fa pesare l’ostinazione della Lega a non cedere all’opposizione (cioè a lei) la presidenza della Commissione parlamentare di controllo sui servizi segreti. L’alleanza scricchiola e i sospetti si moltiplicano. Urge vertice per chiarirsi.

Nel centrosinistra le cose vanno un po’ meglio, ma fino ad un certo punto. Pd e Cinque Stelle – questi ultimi invischiati nella logorante diatriba con Casaleggio che sta mettendo piombo nelle ali di Giuseppe Conte – non hanno ancora risolto il rebus di Roma e Torino, probabilmente correranno separati a Milano e Bologna, e se indicheranno insieme Roberto Fico per Napoli, dovranno spiegare perché la terza carica dello Stato si deve dimettere per fare il sindaco di una città carica di storia ma anche di debiti. Francesco Boccia, cui Enrico Letta ha affidato la patata bollente delle amministrative, assicura di essere in grado di sorprendere tutti con gli effetti speciali della mediazione che sta architettando; ma per il momento si può solo rilevare che le due componenti dell’alleanza di governo – centrodestra e  centrosinistra – non decollano nei Comuni.

di Guido Bossa