Benvenuto proporzionale

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Ieri, nel giorno in cui la Corte Costituzionale bocciava la richiesta di referendum tesa a modificare in senso totalmente maggioritario il sistema elettorale italiano, alcuni giornali davano notizia di un incontro, avvenuto qualche giorno prima alla Luiss (l’università della Confindustria) fra il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e un qualificato gruppo di manager in rappresentanza di grandi multinazionali, sollecitati dal capo del Governo a continuare ad investire in Italia, un paese che promette stabilità e quindi un buon rendimento per chi punta sulla redditività del nostro tessuto industriale.

A quanto si è saputo – l’incontro era destinato a rimanere riservato – i presenti avrebbero manifestato un certo scetticismo circa le rassicurazioni loro fornite; e li si può comprendere, in quanto i precedenti istituzionali italici tutto garantiscono tranne quella durata dei governi che è condizione indispensabile, pur se non unica, per lo svolgimento ordinato di un’attività economica profittevole. Ma ora, dopo la sentenza della Corte, che dà un indirizzo preciso al legislatore anche per il futuro, è lecito porsi qualche ulteriore interrogativo sulle prossime mosse del governo e della maggioranza che lo sostiene, in ordine all’evoluzione prevedibile del sistema politico vigente. Com’è noto, i due principali partiti della coalizione cosiddetta giallo-rossa avevano in qualche modo anticipato la sentenza della Corte presentando una proposta di legge elettorale di impianto proporzionale con sbarramento al 5%, che oggi diventa la base di partenza per la modifica dell’attuale metodo di voto. Ora, non è detto che un sistema maggioritario garantisca di per sé, quasi automaticamente, governabilità e durata delle legislature: in Italia non è mai stato così, e del resto da noi un maggioritario per così dire “assoluto”, sul modello dei paesi anglosassoni, non c’è mai stato. E’ certo, tuttavia, e anche in questo caso l’esperienza lo conferma, che il proporzionale dà luogo ad alleanze instabili e mutevoli, cambi di governo, rovesciamento di fronti, ripensamenti. Il trasformismo, male endemico della nostra storia unitaria da un secolo e mezzo, è nato sì, nell’Ottocento, in regime maggioritario, ma con il proporzionale ha avuto una accentuata nobilitazione.

E dunque, per comprendere quale potrebbe essere l’esito della presente e delle prossime legislature, basta aspettare solo pochi giorni: il tempo necessario per l’apertura delle urne in Calabria e soprattutto in Emilia Romagna, dove l’innesto del virus proporzionalista (per l’elezione del Consiglio) sul tronco maggioritario del voto a turno unico per il presidente, mette a rischio la rielezione di Bonaccini, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Del resto, il leader (per quanto tempo ancora?) dei Cinque stelle, che hanno concepito la nuova proposta di legge come una forma di assicurazione sulla vita, l’ha detto esplicitamente: si vuole che “tutti i cittadini siano rappresentati in Parlamento”, il che sembrerebbe un ottimo proposito, peraltro smentito dalla soglia d’ingresso tutt’altro che simbolica del 5%; ma il ragionamento è stato completato da un altro esponente grillino, Stefano Patuanelli che da alcuni è indicato proprio quale successore dell’attuale capo politico: agli elettori va presentata una “proposta politica,” ma “le alleanze vengono dopo”, Con questi criteri, dal 4 marzo 2018 ad oggi i Cinque Stelle hanno cambiato due volte partner di governo, ma hanno dimezzato i consensi. Ben tornato proporzionale.

di Guido Bossa