“C’eravamo anche noi tra i volontari”. Due testimonianze che ci arrivano da Firenze e da Pesaro-Urbino

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Foto dall'archivio dei vigili del fuoco

Di Antonietta Gnerre

Il numero complessivo dei volontari che arrivarono nelle zone più colpite del sisma del 1980, di quarant’anni fa, è difficile da ricostruire. Sono grata ad Andrea Ulivi e Roberta Zandri per queste due testimonianze, che si aggiungono al grande elenco dei volontari che arrivarono in Irpinia.

Andrea Ulivi (Firenze)

Andrea, a distanza di quarant’anni, è difficile ricostruire minuziosamente i ricordi?

Provo a farlo, insieme a te. Sì, non è facile ricordare tutto, anche se alcuni punti e vibrazioni sono rimasti indelebili. Non arrivano spesso. Ogni tanto, però, affiorano inaspettatamente. È così lontano quel tempo, quarant’anni, e su questi ti citerei i versi di Mario Luzi, solo per cominciare e aiutarmi a frugare nelle anse del mio vissuto: «Si sollevano gli anni alle mie spalle a sciami. Non fu vano, è questa l’opera che si compie ciascuno e tutti insieme».

Grazie, Andrea. Questi versi di Mario Luzi ci fanno riflettere sull’importanza delle nostre azioni. 

Sì, questi versi sollevano alle mie spalle sciami che portano con sé momenti, piccoli o grandi (gloriosi o ingloriosi), quotidiani o eroici, sicuramente non vani come quelli trascorsi in Irpinia. Una terra che prima del sisma del 1980, per me, era soltanto una piccola macchia su una cartina geografica.

Quanti anni avevi quando sei venuto come volontario in Irpinia? 

Avevo vent’anni, ero un giovane studente universitario, fui profondamente colpito dall’immane disastro di quella terra lontana. Mi organizzai con un gruppo di amici di Comunione e Liberazione, ci imbarcammo su un vecchio pulmino Fiat 238 alla volta dell’Irpinia, rasa al suolo dal sisma. Forse era fine dicembre 1980 o, più verosimilmente, gennaio 1981. Partimmo alla volta di Sant’Angelo dei Lombardi, cuore della tragedia, da Firenze, per poi raccogliere alcuni amici a Siena e Arezzo. Arrivammo in una terra desolata e imbiancata dalla neve.

Qual è la prima immagine che vedi nei tuoi pensieri?  

Solo alcune roulotte, tende, un tendone comune e baracche di lamiera. Di fredda lamiera.

E poi?

Il ricordo della prima notte in una di queste baracche. È rimasto indelebile nei miei pensieri. Forse perché faceva molto freddo. Forse perché non avevo mai dormito in un freddo così glaciale..

Ricordi qualche particolare momento del giorno dopo l’arrivo?

La prima mattina, dopo l’arrivo, mi svegliai nella mia branda del letto a castello, infagottato nel sacco a pelo, con il volto imbiancato da un leggero velo di brina. Anche gli altri soccorritori, che occupavano le altre baracche, si svegliarono così. Più “fortunati” sembravano gli abitanti delle roulotte, ma ugualmente gelati dall’angoscia della perdita e dell’abbandono. Di quella mattina ricordo un via vai di persone che cercavano di organizzarsi per la distribuzione degli aiuti che arrivavano. Ricordo le difficoltà dell’accensione dei motori diesel dei camion dovute al freddo. Quei camion servivano per portare al paese tutto ciò che serviva (viveri, vestiti, coperte) per la sopravvivenza della gente.

Cosa ricordi delle persone?

I miei ricordi sono focalizzati sulle persone anziane, vecchi con gli occhi vuoti e imploranti, in attesa di fronte alle loro roulotte, di un po’ di cibo. In attesa di una mano per percorrere un pezzo di strada ghiacciata, di una parola di conforto, di un sorriso.

Cosa ti resta di quel particolare momento di volontariato?

L’organizzazione sul da farsi concertato, lo sguardo proteso dei volontari, l’accoglienza, la solidarietà. Le riunioni nel tendone, che era anche mensa, luogo comunitario, chiesa. Oggi, a distanza di quarant’anni, non vedo solo dolore, vuoto e  impotenza. Ora vedo la speranza di ricominciare, di esserci, con disponibilità e amicizia. Ecco a cosa penso quando mi rivedo volontario in Irpinia: a quella forza che servirebbe anche in questo periodo così difficile dovuto alla pandemia del Covid-19.

Sei mai più ritornato in Irpinia?

Sono stato ad Avellino città, a Sant’Angelo dei Lombardi non ci sono mai più ritornato. Ho pensato a quei luoghi anche qualche anno fa, quando sono andato a Matera per un lavoro fotografico. L’Irpinia la porto con me.

Andrea Ulivi (Firenze, 1960), fotografo, editore e docente. Insegna Fondamenti di editoria e Tecniche redazionali presso la Scuola di Editoria di Firenze ed è stato docente incaricato di Fotografia, cinema e televisione presso la Facoltà di Architettura di Siracusa. In campo fotografico ha realizzato varie mostre personali tra cui «Zona Tarkovskij», «San Miniato. Una porta di speranza», «Luce armena», «Della mia dolce Armenia», oltre ai volumi Nel bianco giornoLuce armenaIl verde e la rocciaEye FlowTracce di vita nel silenzio. L’antico carcere delle Murate di Firenze, con Marcello Fara, e, con i testi di Lorenzo Bertolani, La speranza è la certezza. Ha scritto saggi di fotografia, letteratura e cinema (in particolare su Andrej Tarkovski).

 

Roberta Zandri (Pesaro-Urbino)

Roberta, la tua terra, le Marche, ha molto contribuito in favore dei terremotati dell’Irpinia. Raccontaci qualche aneddoto riguardante l’intervento di volontariato da parte del tuo paese.

In effetti la Caritas di Senigallia partì subito con i soccorsi e con una campagna di sensibilizzazione a favore dei terremotati dell’Irpinia. Ricordo che la nostra Diocesi si gemellò con la Caritas di Avezzano per costruire un intervento più forte. Siamo stati tutti chiamati a contribuire, con impegno e continuità, nei confronti di chi stava soffrendo.

Parlaci di un ricordo che hai dei primi soccorsi.

La parrocchia di Mondolfo iniziò a sensibilizzare i cittadini. Ricordo che anche il nostro fornaio donò un camion intero di pane fresco all’Irpinia. La nostra comunità, attraverso la parrocchia, iniziò a raccogliere indumenti, coperte e viveri. Ci preparammo, per affrontare i soccorsi per i terremotati, con grande impegno e spirito di aggregazione. Perché abbiamo tutti il dovere di intervenire nei confronti di chi vive un disagio così immenso.

Dall’impegno collettivo prima, alla scelta di partire dopo. Come è maturata questa decisione?

Ero iscritta all’Università e non so ancora spiegarmi perché decisi di andare in Irpinia. In quel momento mi sentivo carica di cose che potevo fare e dare. Poi col passare degli anni ho realizzato che sono stati gli irpini a dare qualcosa a me. Da quell’esperienza ho ricevuto un dono immenso e inspiegabile che mi accompagna ancora oggi: il dono di una forza che mi guida in tutte le cose.

Sei stata ben due volte in Irpinia: a dicembre dell’80 e a luglio dell’81…

R. L’idea iniziale era quella di fondare una sorta di cucina da campo. Arrivammo  in Irpinia dopo un lungo viaggio faticoso. Ricordo che vicino alla  tenda, allestita nel campo sportivo di Rocca San Felice, dalla quale si coordinavano i soccorsi, c’era tantissima neve. La prima volta sono partita prima di Natale (trascorrendo anche il Capodanno dell’80 nella tua terra), la seconda volta, invece, a cavallo tra luglio e agosto del 1981.

Cosa conservi delle persone che hai conosciuto?

Conservo la forza del loro sguardo, quella forza di ricominciare a vivere.

Oggi, a distanza di quarant’anni, pensi mai all’Irpinia?

Penso ogni giorno all’Irpinia. Penso al borgo di Rocca San Felice, a quella bellezza tipica dell’Irpinia. Sono ritornata a Rocca San Felice dopo 25 anni dal sisma e mi sono sentita a casa. Sono stata accolta dai miei amici, in modo particolare da Generoso Buonamico, con tanta gioia.

(Ho conosciuto la maestra Roberta Zandri nella scuola Primaria di Castelvecchio, Pesaro-Urbino. Un giorno, per caso, dopo qualche riflessione generale, abbiamo iniziato a parlare dell’Irpinia e, con grande sorpresa, ho scoperto che aveva prestato soccorso alla mia terra).