Cinquestelle e l’incerto futuro

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Se i sondaggi verranno rispettati – e tutto lascia credere che lo siano- il M5S si confermerà il partito che otterrà il maggior numero di voti alle prossime elezioni politiche che ci saranno, al più tardi, nella prossima primavera. Tutto lavora a favore del movimento di Grillo: la situazione politica, che non pare cambiare di una virgola e il comportamento della casta, che non muta le proprie inclinazioni al suicidio non accorgendosi di stare su un burrone in attesa di precipitare da un momento all’altro. Il M5S prenderà più voti solo per demerito degli altri partiti, in primo luogo del PD e di Renzi- che sembra aver ripreso l’arroganza di prima- che per meriti propri. Non è difficile azzardare che si ripeterà quanto è successo nelle scorse amministrative di Roma, dove la Raggi ha vinto suo malgrado ed, anche se non riesce a cavare un ragno dal buco, e l’amministrazione capitolina è in preda al caos, accresce i suoi consensi. La gente è stanca: ce l’ha con l’intera classe politica e, pur di cambiare, voterebbe anche il diavolo ed il M5S è percepito come l’unico partito che, se dovesse arrivare al potere, cambierebbe tutto e addio cadreghini, privilegi, poltrone, vitalizi, rendite. In questa deteriorata situazione politica ed in fase di populismo diffuso, la legge elettorale non sembra soggette a cambiamenti sostanziali perché i partiti che dovrebbero cambiarla non sono d’accordo su nulla e perché ritengono che la proporzionalità sfavorisca il movimento di Grillo che – ritengono – non essere in grado di arrivare al 40%, necessario per conquistare il premio che gli consentirebbe la maggioranza alla Camera. I grillini, invece, lo ritengono un traguardo possibile e un formidabile colpo elettorale in grado di capovolgere, a loro esclusivo favore, il risultato. Tanto premesso, però, il problema che si presenta per l’Italia è se il movimento sarà in grado di governare il Paese. Da come hanno governato le città italiane dove hanno vinto e stante il valore e la competenza politico-sociale della loro classe dirigente, è lecito nutrire molti dubbi. Il Di Maio, il Di Battista, i Fico ed i Sibilia sono largamente impreparati al grande balzo e non solo per la mancata esperienza di governo e di conoscenza della macchina statale e della politica europea ed estera, ma anche per la loro competenza in materie storico-sociali ed economiche che appare largamente insufficiente. Il loro euro-scetticismo, la ventilata possibilità di uscire dall’euro dopo un referendum consultivo che promettono di fare, la loro posizione, ambigua e ondulante, sulla questione dei migranti, la loro conclamata democrazia diretta, la proprietà del simbolo nelle mani “ereditarie” di due persone, Grillo e Casaleggio, l’ambiguità tra partito e movimento ne fanno punti di grande debolezza. E i tempi per cambiare sono ridotti al lumicino anche perché paiono insensibili ad ogni cambiamento. La democrazia in rete è –almeno per i prossimi venti anni – una bufala e cambierebbe, di fatto e totalmente la Costituzione –confermata dal recente referendum- della nostra democrazia parlamentare. Si vantano di aver presentato in Parlamento 14 disegni di legge discusse on line. Vi pare possibile – se solo si conosce Facebook e di Twitter- delle amenità e stupidità che si scrivono, che ciò sia possibile? E poi scegliere i candidati in rete, con l’esperienza delle precedenti esperienze sembra una cosa positiva? Il numero dei partecipanti alle votazioni on line è assolutamente insufficiente e non dà risultati apprezzabili. Basta riflettere che nelle comunarie che si stanno svolgendo in queste settimane, a Cuneo il candidato sindaco è stato designato con appena 19 voti, a Frosinone con 18, alla Spezia con 29 e a Lecce con 31. Vi pare una cosa seria? Se, invece hanno intenzione di accreditarsi seriamente a governare il Paese e si presenteranno al corpo elettorale dopo aver corretto queste anomalie e aver superata l’ambiguità della forma partito nel senso ipotizzato dalla Costituzione e proporranno un programma chiaro e preciso e l’indicazione di una compagine governativa, attinta soprattutto nella società civile e tra quelli che non sono ritenuti professionisti retribuiti dalla politica (ad esempio un Prodi o un Rodotà a capo del governo e ministeri affidati a personalità tipo Gratteri alla Giustizia, De Masi al lavoro e un Cottarelli o un Giavazzi all’economi, un Di Pietro agli interni – tanto per fare qualche nome-) allora il duello si farebbe oltremodo interessante e l’esito potrebbe pendere facilmente a loro vantaggio.
edito dal Quotidiano del Sud