Comuni, la fusione a freddo

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Scompaiono i Comuni al di sotto dei cinquemila abitanti. E’ la proposta presentata da un gruppo di parlamentari del Pd con la quale si vuole dare una sforbiciata ai piccoli municipi. Stando ai numeri, i comuni al di sotto di cinquemila abitanti sono 5698 su 8093 e rappresentano oltre il 70% del totale. Una fusione a freddo che cancellerebbe la gran parte dei piccoli comuni e con essi un pezzo importante delle tradizioni italiche. Una legge che diventa persino capestro nella parte che impone alle Regioni, entro 24 mesi dall’approvazione del testo legislativo, di operare d’imperio la fusione dei comuni inadempienti, privando quest’ultimi dei benefici previsti dalla legge per incentivare la semplificazione dei municipi. Come dire, o bere o affogare. Piccolo è bello, non va più di moda. In tempi di ristrettezza prevale nelle scelte la calcolatrice che da anni compie dissennati tagli alla spesa pubblica, senza incidere realmente sugli sprechi che andrebbero eliminati. E così non sempre i numeri tornano: negli ultimi anni i trasferimenti ai comuni sono diminuiti del 40% mentre sono aumentate le spesa nei ministeri Una spending rewiew capovolta, con esigui risultati in termini di risparmio e razionalizzazione della spesa. Una scelta in controtendenza anche rispetto al federalismo che ormai è in una fase calante per un ritorno prepotente al centralismo che da sempre ha osteggiato e visto con fastidio il trasferimento delle competenze alla periferia, con l’effet – to di diminuire il potere esercitato per oltre 150 anni dalla burocrazia romana sull’appa – rato amministrativo dello Stato. Risparmiare non vuole dire cancellare la memoria e le identità. Più che fondere i comuni bisogna invece insistere sulla gestione consorziata dei servizi anche attraverso l’ Unione dei comuni. Cancellare i paesi significa, infatti, perdere un tratto distintivo dell’identità comunitaria che contraddistingue anche etnicamente i vari paesi. Cesare Pavese sosteneva che un paese vuol dire non essere soli, essendo le comunità ancora un luogo di solidarietà umana e sociale. Una visione romantica che non deve nasconde le numerose difficoltà che incontrano i piccoli comuni a partire dal depauperamento demografico, conseguenza dell’abbandono sempre più numeroso dei piccoli centri, tanto da renderli comuni destinati all’estinzione. Un’apocalittica definizione che non tiene presente la storia millenaria di questi centri soprattutto dell’Appen – nino che hanno alternato momenti di calo demografico ad altri di accresciuta presenza di popolazione anche per le continue migrazione e invasioni che hanno interessato la storia italiana. I paesi alla fine non si estinguono, anche perchè quelli con meno di 5000 abitanti custodiscano un patrimonio straordinario di beni culturali e ambientali, di tradizioni che possono conferire ai borghi italiani un ruolo importante per far crescere l’offerta turistica nazionale. Su questo versante, infatti, già si registra una tendenza significativamente evidenziata dai dati positivi sul turismo delle aree protette, che interessano la maggior parte le realtà dell’ Appennino. Inoltre l’importanza sempre più riconosciuta all’agricoltura di qualità accresce il ruolo dei piccoli centri che diventano veri e propri presidi territoriali e produttivi. L’Italia in Europa è il paese che ha all’attivo più produzioni certificate: 149 Dop e Igp e oltre 4000 Pta, (prodotti tradizionali agroalimentari). Anche nel settore del vino il Bel Paese vanta un invidiato primato con ben 453 Dogs, Doc e Igt. Più che tagliare i comuni bisogna eliminare le varie municipalizzate o partecipate che sprecano moltissime risorse economiche essendosi trasformate nel tempo n carrozzoni politici . Ma questa è un’alta storia.
edito dal Quotidiano del Sud