Cristianesimo o Comunismo nelle parole di Papa Francesco?

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Di Matteo Galasso

Siamo tutti a conoscenza dell’indole sociale e rivoluzionaria di Papa Francesco I, che da ormai otto anni sta tentando di rinnovare la Santa Sede nel pensiero e nel metodo, per metterla al passo coi tempi. Nonostante la difficoltà di un uomo che si trovi da solo a combattere una battaglia, ostacolata dalla maggior parte delle gerarchie del Vaticano, numerose affermazioni del Pontefice sembrano aver avviato la Chiesa Cattolica a un processo di rinnovamento rispetto a visioni della società troppo conservatrici e autoritarie. Si tratta di un processo che sicuramente – non per volere suo – richiederà anni prima di essere portato a termine.

Un’affermazione di Bergoglio di pochi giorni fa ha, in un certo senso, suscitato scalpore per la sua vocazione progressista e misericordiosa. Durante la messa, tenutasi a Roma in occasione della festa della Misericordia, il Papa, esortando i fedeli a condividere, ha chiarito: “Condividere la proprietà non è comunismo, ma puro cristianesimo”, lanciando un appello a non cedere all’indifferenza. In pochi secondi questo messaggio ha riportato alla luce il significato più profondo della dottrina cristiana, omesso o mai applicato da molti suoi predecessori, che hanno conferito alla religione tutt’altro significato, sbiadendone e cancellando – come in molti hanno evidenziato nel corso della storia – la vocazione sociale e compassionevole sulle quali si fonda.

Francesco ha poi ricordato che “per Dio nessuno è sbagliato né inutile né escluso”, richiamandosi alla misericordia e rammentando a tutti che ogni essere umano è “indispensabile”. Se si vuole interpretare questo messaggio mediante una visione più laica, si può affermare che ognuno di noi costituisce un tassello della società e già per questo motivo non merita di essere escluso dagli altri con indifferenza, ma aiutato, se in difficoltà. A questo si collega poi il buon funzionamento di una società dove, nell’ottica di una comunità, la caduta di un individuo corrisponde alla caduta dell’intera organizzazione.

Dopo aver citato un Passo degli Atti degli Apostoli, nel quale viene spiegato che gli stessi discepoli che fino a poco tempo prima litigavano tra loro per chi fosse più valoroso o più ricco, iniziarono poi a condividere ogni cosa, smettendo di considerare l’esclusività di ogni proprio bene. E ciò è avvenuto perché tutti i discepoli e i primi cristiania avevano assunto la consapevolezza di avere un obiettivo comune. A questo punto Francesco, partendo dai vangeli ci ha aiutato a capire che per essere caritatevoli e sentirsi parte di un qualcosa che ha l’obiettivo di perseguire un fine comune non debba necessariamente essere definito un comunista, in quanto si tratta di un valore sociale e ideale che lo stesso cristianesimo predica fin dalle origini.

Se è vero, infatti, che la religione di Cristo poggia su valori come la condivisione, la fratellanza e la purezza spirituale, è arrivato il momento di lasciarsi alle spalle la deviata vocazione oppressiva e autoritaria conferitagli nel corso dei secoli dalla Chiesa. Il messaggio del Pontefice va dunque ben oltre il suo significato intrinseco, perché ci fa comprendere quanto cristianesimo e comunismo, se portati entrambi alla propria vocazione primaria e tralasciando tutte le contaminazioni che la loro interpretazione ha subìto, contengono molte affinità, a partire da quella più deducibile dell’uguaglianza sociale. Spesso per lo stesso concetto vengono utilizzati dalle due dottrine, entrambe suo tempore rivoluzionarie, due termini differenti.

Un altro precetto che entrambe le vocazioni ideologiche predicano è quello della fratellanza, interpretata come senso della comunità. La redistribuzione delle ricchezze è certamente una volontà e un obiettivo che accomuna i due modi di pensiero, ma differenti sono le modalità con le quali raggiungere questa ridistribuzione. Nel cristianesimo sono interpellati gli stessi misericordiosi, i quali, mossi da un senso di condivisione, che deriva dalla stessa carità cristiana, decidono di condividere i propri beni con chi non ha nulla, considerando il bisognoso come un “compagno di strada”, che non può essere lasciato indietro lungo il cammino. Il comunismo basa lo stesso fine, invece, su un processo che richiede una rivoluzione proletaria contro i pochi ricchissimi, che detenevano e detengono sempre più avidamente la maggior parte delle ricchezze mondiali, mentre le masse erano affamate dal potere capitalistico. Non si tratta quindi di un’azione di misericordia del ricco, in quest’ultimo caso, ma di disperazione dei poveri che chiedevano e chiedono aiuto e condivisione.

Se l’uguaglianza formale è difficile da predicare all’interno della Chiesa, ancora più difficile è promuovere quella sostanziale. Se per raggiungere una visione nella quale tutti siano uguali per il proprio modo di essere o di percepirsi ci vorranno decenni, come si potranno conciliare le ideologie cristiane che il Papa sta cercando di rispolverare, rispetto ai bisogni della società reale? Se la Chiesa parla di “messa in comune dei beni” e di superamento del concetto di proprietà non ha senso che detenga un patrimonio calcolato in miliardi di euro di cui neanche ha bisogno. Papa Francesco sta rivoluzionando il pensiero della Chiesa, ma arriverà il tempo di passare ai fatti e dare un aiuto più concreto ai cittadini bisognosi, che vada oltre i fondi raccolti con l’8×1000. Con il sistema capillare costruito dalla Chiesa con il passare dei secoli sarebbe davvero semplice aiutare ancora di più e meglio chi è in difficoltà, specialmente considerando che oggi costituisce nei fatti l’unica istituzione ad avere anche le capacità economiche per farlo.