Decreto Sud tra speranza e beffa

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Di Gianni Festa

Ci risiamo con i proclami. Con le promesse. Rieccolo il Sud speranzoso. Stavolta, dicono, si fa sul serio. C’è uno strumento, il decreto legge Sud, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno. Esulta il ministro per il Mezzogiorno, Affari europei, Pnrr e politiche di coesione, Raffaele Fitto: “Il decreto – dice – rappresenta un importante risultato, a conferma di quanto il Mezzogiorno sia una priorità del governo”. Ma è proprio così o, invece, siamo di fronte all’ennesima beffa a danno del Sud che intanto continua a scivolare ver- so l’Inferno? In realtà la “questione meridionale”, al di là degli annunci, soffre per le tante contraddizioni non risolte. Fra queste quella dell’Autonomia differenziata regionale, avversata da costituzionalisti e studiosi che ritengono sia uno strumento che spacca il Paese, facendo aumentare le distanze tra Nord e Sud. E serve a ben poco dire che la riforma Calderoli crea competizione tra le diverse aree del Paese, facendo emergere, tra l’altro, il dato della non capacità di spesa delle regioni meridionali. Motivazioni riduttive che non tengono conto dello stato di marginalità in cui resistono gli enti locali del Sud, con l’as- soluta mancanza di personale tecnico per la redazione dei progetti. C’è di più. Mentre si promettono al Mezzogiorno mari e monti il governo dà un taglio netto alle risorse degli Enti Locali. “Sembra di essere tornati indietro di sette anni. Sono sette anni che non riceviamo tagli, oggi ci ritroviamo con una proposta di taglio di 200 milioni per i Comuni e 50 milioni per le province e per le città metropolitane, mentre dobbiamo già affrontare il tema dell’aumento dei costi dell’energia e dell’inflazione, che significa aumentare il costo dei servizi”, afferma il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro. Va da sè che questa è l’ennesima contraddizione tra il dire e il fare. Come lo è l’accentramento delle risorse previste dal decreto Sud presso le strutture del governo Meloni, con una cabina di regia che decide sulla destinazione dei fondi. Il che significa burocratizzazione degli interventi e ritardi nella gestione delle opere da realizzare. Come uscire dalla gabbia dei provvedimenti che rende prigioniero il Sud? Appare evidente che i governi, quelli passati e quello presente, non hanno ben chiaro il percorso utile alla rinascita del Mezzogiorno. Si è passati dal pia- no Sud di Berlusconi al masterplan di Renzi, fino alle buone intenzioni di Enrico Letta, senza che qualcosa fosse cambiato. Anzi, la condizione del Mezzogiorno, sociale ed economica, è notevolmente peggiorata. Ci soccorre l’idea dei meridionalisti di un tempo che assegnavano agli uomini del Sud, ovvero alla classe dirigente, la possibilità di una “rivoluzione meridionale”. Nel senso che o sarà il Sud a dettare le regole per il suo rilancio o, al contrario, saranno altri a fare del Mezzogiorno una colonia periferica dell’Italia. Ma dove scovare i “cento uomini di acciaio” di dorsiana memoria per poter avviare quella necessaria rivoluzione? L’interrogativo non ha una risposta, almeno per questo governo dai facili e disastrosi decreti. Nei quali traspare un metodo clientelare, con assunzione di personale, al contrario di ciò che veramente occorre: grandi infrastrutture e lotta senza quartiere alla criminalità che oggi pervade l’intero Mezzogiorno