Discontinuità vò cercando

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Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Dante Alighieri, Canto 1° del Purgatorio).

Parafrasando Dante, di fronte alla buona novella del giuramento del nuovo governo che ci ha liberato di Salvini, potremmo gridare: discontinuità va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta.

La ricerca della discontinuità, rispetto alla passata esperienza di governo, è stato il leitmotiv che ha ispirato le trattative per la nascita del nuovo governo, che hanno rischiato di naufragare a fronte delle arroganti rivendicazioni di continuità di Di Maio.

Dalla lettura del programma ma soprattutto dai volti dei nuovi ministri emerge che vi sono forti elementi di discontinuità, seppure contrastati dalla permanenza in posizioni chiave di sodali di Matteo Salvini.

In questo momento quello di cui abbiamo più bisogno è una discontinuità speciale, che non è stata inserita nel programma di governo e non è stata oggetto di contrattazioni di vertice, ma si tratta di una discontinuità che deve emergere dai fatti: la discontinuità educativa.

In questi 14 mesi di governo giallo-verde (in realtà giallo-nero), è stata compiuto la più straordinaria offensiva di diseducazione di massa, che sia stata mai messa in opera nel nostro paese dai tempi delle leggi razziali. In particolare Matteo Salvini, utilizzando il Viminale come cassa di risonanza per le proprie esibizioni truci, attraverso la comunicazione pubblica, attraverso condotte amministrative dettate via Tweet, imponendo con la fiducia al Parlamento provvedimenti normativi discriminatori e volti a legittimare politiche disumane, ha intossicato la società italiana, i corpi dello Stato, persino le scuole, diffondendo il veleno della discriminazione, del disprezzo dei diritti fondamentali di coloro che sono figli di un Dio minore, seminando la paura e l’odio per i diversi, logorando i legami sociali e fascistizzando il senso comune. Ha corrotto l’idea di giustizia avvicinandola sempre più all’idea di vendetta, ha incoraggiato la violenza privata, sdoganando persino l’omicidio, ed elaborando politiche di ordine pubblico fondate sulla repressione massima come strumento di governo della società e di esclusione di soggetti marginali all’insegna di un’antropologia razzista della diseguaglianza. Ha insegnato il disprezzo per le istituzioni di garanzia, organizzando una centuria di manganellatori mediatici che hanno aggredito e minacciato i magistrati ed i pubblici funzionari che hanno ripristinato il diritto a fronte degli abusi del potere politico.

Attraverso l’uso blasfemo di simboli religiosi, ha cercato di riesumare la cultura del clerico-fascismo, utilizzata a piena mani da Mussolini, come istrumentum regni e di cancellare nella cultura popolare il valore supremo della laicità dello Stato.

Perseguendo una forsennata politica di discriminazione e di esclusione sociale nei confronti degli immigrati, ha avvelenato i pozzi della convivenza, creando fratture sociali foriere di disagi e di violenze future. “Il Belpaese – ha scritto Moni Ovadia – ha conosciuto un ritorno di ignoranza senza precedenti, fatto drammatico che rende impossibile il parlar di politica.”

Il comportamento di coloro che esercitano poteri pubblici è sempre, nel bene e nel male, un comportamento propedeutico: trasmette dei significati destinati, prima o poi a trasmodare nel senso comune.

Il nuovo governo deve dare avvio ad una bonifica del clima culturale e ad un processo di rialfabetizzazione dei cittadini. Le parole sono importanti: nella comunicazione pubblica coloro che esercitano pubbliche funzioni devono bandire ogni linguaggio che semini odio o discriminazioni, ma ancora più importanti sono le opere, cioè le condotte amministrative ed i provvedimenti legislativi. Per questo la prima cosa da fare è riaffermare che il valore della vita umana non dipende dal passaporto, abrogando il divieto di salvataggio dei migranti che naufragano nel mare mediterraneo.

di Domenico Gallo