Di Franco Festa
Franca ha aspettato invano tutto il giorno. Abita lì di fronte e da anni osserva, dal balcone, lo spettacolo triste della Dogana straziata. Per anni e anni, dopo l’incendio del 1992, non era successo nulla. Tutti passavano vicini a quel rudere, giravano la testa, andavano oltre. La sua città ha sempre ragionato così, di fronte alle cose serie ha sempre, semplicemente, girato la testa. Poi, era il 26 agosto 2009, un gruppo di avellinesi, tra i quali l’indimenticabile Armando Montefusco, decise di metterci la faccia per interrompere quello schifo, si ritrovò in quello spiazzo, sotto l’obelisco di Carlucciello, chiamò a raccolta altri cittadini. Lì nacque il comitato per la salvezza della Dogana, di cui Franca fece subito parte. Furono anni e anni di lotte incancellabili, di grande partecipazione, di feste, di lettere d’amore, di iniziative clamorose, di speranze luminose. Il movimento popolare si intersecò con la volontà del Consiglio Comunale, e da questo incontro vennero fuori prima l’esproprio, poi la lotta per ottenere il finanziamento per il restauro, che infine arrivò, di ben 3 milioni e mezzo di euro. Occorreva solo fare quello che anche un cieco sa fare, di fronte a una raccolta pronta e matura. Indire un appalto, trovare una buona ditta, concludere i lavori. Anche un paesino di mille abitanti sarebbe stato in grado di concludere presto e bene, immaginarsi un comune capoluogo, con il sindaco Festa superstar e una pletora di tecnici scienziati. Non era richiesta né capacità, né intelligenza, né mestiere. Occorreva solo fare due più due, tracciare la o con il bicchiere. Tutto era pronto, disponibile, ed era il risultato di anni e anni di impegno di cittadini e di amministratori. Franca, dal giorno in cui il finanziamento era arrivato, cominciò ad affacciarsi dal balcone più serena, convinta che la Dogana sarebbe presto tornata all’antico splendore. Certo. Ogni tanto Festa compariva per una nuova foto: una lunga parata di geni dell’architettura, di stelle mondiali del restauro sfilò lì davanti, stretti sotto il suo braccio, sempre sorridenti, con sorrisi a 48 denti. Franca all’inizio lasciò correre, conosceva quel sindaco, l’esibizionismo era la sua malattia: ma si trattava comunque di fare cose semplici, scrivere, anche tremando con la mano, un rigo corretto di vocali, come in prima elementare. Non è andata così. L’incredibile è accaduto. Idee folli, gare sbagliate, appalti mai partiti, e il finanziamento è perduto. E fanno pena le pezze a colore che ora si cerca di mettere, per dimostrare che non è vero. Franca ha invano aspettato, quando la notizia del fallimento si è diffusa, che qualcuno reagisse, che la città facesse sentire la sua voce, che la piazza si rianimasse di vita: non come le sere d’estate, con i giovani che l’affollano gaudenti e strafottenti, senza neppure guardarsi intorno; ma come quel giorno di agosto del 2009. Franca è stanca, lo ammette, e con lei sono stanchi tanti cittadini che per anni hanno svolto funzioni di supplenza. Però ha sperato che almeno i consiglieri comunali di opposizione si facessero vivi, che il cosiddetto fronte largo ci mettesse la faccia, manifestasse lì sotto, oltre le solite dichiarazioni alla Nicola Giordano, oltre i soliti comunicati. Non si è visto nessuno. Nessuno si è fatto vivo, sono in altre faccende affaccendati: la roulette russa per il candidato sindaco su tutte. Franca chiude la finestra, abbassa la persiana. Ha imparato a guardarla, quella facciata diroccata e gentile, sa che risuona di vita antica e di gloria perduta. Sa che soffre per lo sfascio, l’abbandono in cui l’hanno ridotta, e Franca non regge a quel dolore. Può solo, nel chiuso della sua stanza, soffrire in silenzio insieme a lei.