San Pio, il frate avellinese Padre Luigi e le prescrizioni della Santa Sede

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Antonio Polidoro

Sono sin troppo note le traversie che caratterizzarono la  vita del beato Pio da Pietrelcina, segnatamente per effetto della particolare attenzione della Chiesa nel verificare gli aspetti, per così dire, “soprannaturali”, di un’esistenza, anche in forza di tutto questo , eroica e singolarissima.

La prima dura presa di posizione del Vaticano nei confronti del cappuccino stigmatizzato risale all’inizio degli anni venti quando il padre generale dei passionisti col celebre clinico professor Bastianelli fanno visita al convento con las precisa missione di indagare sulle attività del frate e sull’autenticità delle stimmate.

Il 25 ottobre dello stesso anno giunse a San Giovanni Rotondo il cardinale Augusto Sili , presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e Delegato Pontificio per la Prelatura di Pompei. Le cose si complicarono quando, verso la metà del 1921, si sparse la voce di un probabile trasferimento di Padre Pio.

La notizia, che la stampa arricchiva di particolari non sempre veritieri su strane presenze tra i pellegrini, suscitò molto rumore e la Santa Sede fu costretta ad assumere misure drastiche, dolorose, con ogni evidenza, eccessivamente gravi.

Il due giugno 1922 la Santa Sede comunicava al Superiore Generale dell’Ordine di tenere “in osservazione”  San Giovanni Rotondo e il flusso dei pellegrini. Il durissimo documento prescriveva, ancora, che Padre Pio non celebrasse la Messa ad un orario fisso ma ad orari diversi e preferibilmente “summo mane”. Si trattava di misure chiaramente tese a scoraggiare le presenze sempre crescenti a San Giovanni Rotondo. Il futuro Beato non doveva, inoltre, esibire le stimmate né permettere che fossero baciate dai fedeli.

Nei dieci anni che seguirono le prescrizioni pontificie divennero sempre più gravi, fino al divieto di celebrare la messa in pubblico.

All’inizio degli anni venti ricopriva la carica di Segretario provinciale e definitore dell’Ordine dei Cappuccini un degnissimo e colto frate avellinese, Padre Luigi d’Avellino. Padre Luigi fu tra i frati che pagarono il prezzo più alto in seguito alle restrizioni pontificie, fino all’allontanamento dalla Provincia cappuccina di Foggia. Al secolo Enrico Festa, ancora oggi  uno dei cognomi più diffusi nella città di Avellino (si segnala anche un Festa vescovo nella storia religiosa della città), Padre Luigi nacque il 15 luglio 1884 e ricevette gli ordini 1899 nella provincia umbra. Ritornò nella provincia di origine nel 1905.

Fu ordinato sacerdote il 20 gennaio 1907 e, in forza delle sue riconosciute doti di intelligenza e dottrina, oltre che per l’intemerata cifra morale percorse una luminosa carriera all’interno del suo ordine fino ai fatti dolorosi che determinarono il temporaneo allontanamento dalla provincia foggiana. La ricaduta dei provvedimenti vaticani sul frate avellinese addolorò particolarmente Padre Pio che espresse in alcune lettere di notevole intensità il suo sincero rammarico. La lettera del 27 agosto 1923 è tra le più interessanti e dure oltre che una miniera di indicazioni per ricostruire i fatti dolorosi che tanta eco ebbero in quegli anni. Al Padre Luigi da Avellino esprime gravissime preoccupazioni per questioni di ordine pubblico e per la sua personale incolumità.

“Molto reverendo Padre, scrive al cappuccino avellinese, credo non ci sia bisogno di dirLe quanto io, grazie a Dio sia disposto ad ubbidire a qualunque ordine mi venga notificato dai miei superiori. La voce loro è per me quella di Dio, cui voglio serbar fede fino alla morte; e, coll’aiuto suo, ubbidirò a qualsiasi comando, per quanto penoso, possa riuscire alla mia miseria. Ma se per ordine dei  miei Superiori dovrò partire da questo convento, prevedo con tutta certezza che, se non assisterà Iddio, in modo particolare e miracolosamente, accadranno fatti luttuosi a carico di sacerdoti, miei fratelli, e chiese, come ora questo popolo eccitato minaccia e prepara; in questo non ascoltando né le mie parole né quelle dei miei confratelli”.

Risulta di palmare evidenza la forza di queste parole e la gravità dei timori del frate come risulta emblematica la scelta di affidare considerazioni tanto gravi proprio al padre segretario, Padre Luigi d’Avellino. Nella stessa lettera Padre Pio si lascia andare a rivelazioni delicatissime sui pericoli per la sua stessa persona.

“Anche la mia vita corre serio pericolo……..la vita mia è da tempo immolata al Signore, ed io non ne tengo conto; anzi il mio desiderio sarebbe di andarmene presto a Dio. Non posso però volere che l’anima mia si presenti al suo tribunale per rispondere del sangue di altri”.

Sempre sulla stessa linea di serio allarme procedono le confidenze del frate, confidenze che diventano comunicazioni ufficiali in forza dell ‘ufficio di Segretario ricoperto da padre Luigi da Avellino. Ma il futuro beato si spinge ad ipotizzare anche le probabili misure che le autorità dovranno assumere. “Non so quali misure di pubblica sicurezza si potranno prendere, perché nulla accada di luttuoso………non basterebbe nemmeno uno stato si assedio prolungato per impedire terribili e sanguinose rappresaglie. Lei meglio di me sa cosa siano le passioni religiose di un popolo; di questo popolo poi, ardente d’istinti ancora primitivi chi vorrebbe persuadersi che minacci invano?”

La lettera si conclude  con la speranza che il frate avellinese “ prenderà in seria considerazione” l’esposto. Nella chiusa si dichiara “umilissimo suddito” quasi a voler ribadire il rispetto per l’importante ufficio ricoperto da Padre Luigi.  Il 16 aprile 1924 quando erano stati appena comminati i provvedimenti disciplinari per Padre Luidi d’Avellino, Padre Pio scrive una lettera accorata al confratello ingiustamente punito.

“Mio carissimo Padre segretario”, esordisce, “ è con mano tremante, con cuore trafitto dal dolore e con gli occhi velati dalle lacrime che vi scrivo la presente. E’ di ieri sera che mi ebbi la vostra e non ancora riesco a padroneggiarmi tanto è la scossa e la percussione che ha prodotto in me la vostra straziante lettera. Cosa dirvi, fratello mio, in riguardo ad una sì fatale disposizione? Gesù ne prenda la difesa e faccia trionfare la giustizia converta ancora una volta in bene  l’invidia e la malvagità degli uomini…non dubitate  padre; la prova non sarà lunga essa uscirà più gloriosa per voi e per noi e di confusione e vergogna per coloro che si rodono nella rabbia e nell’invidia”.

Il mese successivo ( evidentemente padre Luigi , trasferito, è stato privato del suo ruolo di segretario e definitore ) padre Pio scrive al confratello dandogli un confidenziale e affettuoso “tu” .

“Gesù sia sempre con te, ti conforti nella durissima prova e ti assista sempre con la Sua vigile grazia….fratello mio, noi stiamo a pregare con te e per te….Coraggio dunque e non temere chè la prova non può e non deve durare a lungo. Scrivimi e dammi notizie più confortanti. Ti abbraccio con tutta l’effusione dell’animo. Tutto tuo in Gesù e nel padre san Francesco, Padre Pio, cappuccino”.

Fu un doloroso periodo della vita di Padre Pio come della vita stessa del Convento di San Giovanni Rotondo e della Provincia foggiana dei Cappuccini.

Il 16 luglio 1933 il frate delle stimmate potè celebrare la messa in pubblico. Un anno dopo gli viene anche consentito di confessare : la vita spirituale e la missione apostolica di Padre Pio riprende con grande fervore. Le folle si moltiplicano sul sagrato del piccolo convento. Nel 1935 un avvenimento lieto sottolinea la vita del frate di Pietrelcina: si celebra il venticinquesimo di ordinazione sacerdotale con una cerimonia religiosa caratterizzata da grande compostezza. Ma  la voce corre e migliaia di fedeli affollano gli spazi intorno ala convento di san Giovanni Rotondo.