Giustizia, una riforma sbagliata

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Sulla riforma della Giustizia, l’ennesima di questi ultimi anni, si è molto parlato sui media e scritto su tutti i giornali, anche sul nostro, toccando vari temi oggetto di approvazione o disapprovazione. Vorremmo tentare di offrire al lettore un giudizio complessivo sugli effetti concreti che si riflettono. Sui processi Tutte le modifiche sulle norme processuali, chiamate non correttamente riforme, degli ultime 30 anni a cominciare dal Governo Berlusconi, scritte sempre con il concorso dei magistrati al servizio della politica, non hanno ridotto di un solo giorno i tempi dei processi che sono rimasti tra i più lunghi d’Europa perché non hanno mai affrontato le vere cause che imbrigliano le procedure processuali , lente e formalisticamente predeterminate, i numerosissimi procedimenti per decreti penali da definire in via amministrativa anche depenalizzandone l’aspetto penale, la insufficienza dotazione organica e la ristrutturazione degli uffici giudiziari. Si è preferito andare avanti, per una sorta di scelta politica, sulle prescrizione che fa decadere molti processi specie quelli dei colletti bianchi e dei politici che hanno risorse e fior di avvocati, L’esempio di un Berlusconi che sfugge al processo Ruby ter facendosi ricoverare al San Raffaele è un esempio di scuola. Poi, con il Conte 2 è stata approvata la riforma Bonafede che ha abolito la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Apriti cielo: la politica e i poteri forti hanno impugnato le armi e sono corsi subito ai ripari con Draghi e la Ministra Cartabia che è pure stata Presidente della Consulta.Ma la riforma Cartabia è una riforma sbagliata. Soprattutto perché lede il principio costituzionale della certezza della pena e del risarcimento delle vittime che verrebbe annullato rendendo il processo “improcedibile” se la sentenza di appello non arriva entro due anni e quella di Cassazione entro sei mesi. Cosa del tutto irrealizzabile stando le centinaia di migliaia di processi in corso e i termini dell’appello che in tantissime Procure superano abbondantemente i due anni.

Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro: “Macché processi più brevi, è un’amnistia che li getta al macero”. Contrari si sono manifestati molti altri Procuratori, compreso quello di Napoli dove rischiano il macero centinaia di migliaia di processi, (in una sola sezione ne ha più di tutta la procura di Milano). Contrari Caselli e Davigo che di giustizia se ne intendono e, tra gli avvocati, perfino il prof. Coppi: ”La nuova prescrizione manda i processi in tilt .Che errore sui ricorsi … Tempi illusori, la pena, in primo grado non potrebbe essere neppure eseguita.” Davigo, dopo due anni per l’appello e sei mesi per la cassazione i processi divengono “improcedibili” e le vittime dei reati non vengono più risarcite. “L’improcedibilità è un’amnistia mascherata”. Allora che fare? L’ANM (associazione nazionale magistrati): “In fumo 150000 appelli” Gratteri: “Più uomini e magistrati; limitare le ipotesi di appello, rendere inammissibili le impugnazioni vistosamente pretestuose ridurre i ricorsi in Cassazione alla sola illegittimità; rivedere gli organici degli Uffici giudiziari.” Per Roberto Scarpinato:”Alcune modifiche alla legge Bonafede sulla prescrizione previste nel testo emendato dal Governo e approvato dal D d M, presentano profili di irragionevolezza tali da lasciare stupiti”. Alfonso Sabella, altro ex magistrato famoso per aver arrestato molti latitanti: ”Questa riforma  sembra scritta da chi non ha mai messo piede in un’aula di tribunale”. A suo parere, le criticità sono: depenalizzazione consistente, introduzione del doppio binario, semplificazione delle procedure, riduzione seria delle circoscrizioni giudiziarie”. Parzialmente favorevole il solo Armando Spataro.

La verità, nuda e cruda, è che un governo di destra (Draghi, Giorgetti, Brunetta) non può fare riforme se non quelle sempre perseguite da Berlusconi e i suoi sodali e che la sinistra (PD, LEU e 5Stelle) non possono approvarle in nome di un governo di unità nazionale che, nei fatti, persegue una politica di desta.

di Nino Lanzetta