“Gli oceani sono i veri continenti” inaugura la stagione dello Zia Lidia. Il regista Santambrogio: un mosaico della contemporaneità cubana

"Un'identità forte che a volte finisce per impedire il cambiamento. Tanti gli elementi in comune con l'Italia

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Riparte, alla sua ventunesima stagione, lo Zia LidiaSocialClub, autentico laboratorio dedicato al cinema in città. Lo fa con la proiezione di “Los oceanos son los verdaderos continentos” di Tommaso Santambrogio, in programma stasera, alle 21, al cinema Partenio nell’ambito del festival “Venezia a Napoli, il cinema esteso”. “Abbiamo scelto di omaggiare con la nostra tessera – spiega Michela Mancusi dello Zia Lidia – la memoria del regista Giuliano Montaldo che con “Sacco e Vanzetti” ed altre opere ci ha regalato il momento più alto e inteso della stagione cinematografica italiana. Come immaginerete lo ZiaLidia eredita il nome dai BuonaVistaSocialClub, ci è sembrato bello inaugurare la nuova stagione di cinema con il canto a Cuba di Santambrogio”.

E’ lo stesso regista Tommaso Santambrogio, ospite stasera della proiezione – a spiegare la sua pellicola “Los Oceanos sono los verdaderos continentos”, coproduzione italocubana. A San Antonio de los Baños, nell’entroterra cubano, si rincorrono i destini separati di Edith e Alex, amanti e colleghi attivi in campo teatrale; dell’anziana Milagros, che rilegge le lettere del suo amato, Miguel, partito per la guerra in Angola e mai più tornato; mentre Alain e Frank, bambini amici per la pelle, sognano un futuro di giocatori di baseball negli Stati Uniti, tra gli yankees.

Come nasce l’idea di raccontare l’isola di Cuba?

“L’obiettivo che mi proponevo era quello di offrire un mosaico della contemporaneità cubana, provando a raccontare la condizione socio-politica della popolazione cubana, che appare come cristallizzata. Cuba sta attraversando la più grande crisi migratoria di sempre, mi piaceva l’idea di narrare questa crisi non attraverso il viaggio, ma focalizzando lo sguardo sul distacco dalla propria terra o meglio sull’attesa di questa separazione. Ho scelto tre diverse prospettive temporali, una prospettiva futura attraverso lo sguardo di due bambini di otto anni che sognano di diventare campioni di baseball negli Usa, una prospettiva legata al presente attraverso una coppia di teatranti che affronta il momento contemporaneo, uno sguardo legato al passato attraverso il ritratto di una donna anziana che rilegge le lettere dell’amato, partito per la guerra d’Angola, conflitto che si svolge lontano dalla propria patria ma che ha determinato fortissimi flussi migratori”

Come è cambiata l’isola di Cuba?

“Cuba è un’isola che ho imparato a conoscere negli anni, ha rappresentato il mio primo grande viaggio, ci sono, poi, tornato più volte, scoprendo aspetti sempre nuovi. E’ un’isola che consegna uno sguardo diverso sulle cose, è stata oggetto di una rivoluzione che ha trasformato i paradigmi della società. Ci sono riti e abitudini che sono parte della nostra quotidianità ma che a Cuba non sono così scontati. Vivere a Cuba significa cambiare prospettiva rispetto alla nostra vita. Al tempo stesso è un luogo caratterizzato da un’umanità straripante, con tantissime voci, senza avere, però, grande possibilità di esprimerle. Sono al massimo due i titoli cinematografici realizzati ogni anno, di cui uno finanziato dal governo. Malgrado sia caratterizzata da un grosso fermento a livello letterario e musicale, ha scarsi mezzi economici. Ecco perchè mi sembrava molto importante essere un megafono di queste storie”.

Quanto quest’isola ha in comune con l’Italia?

“L’isola di Cuba ha in comune con l’Italia più di quanto possiamo immaginare, sono due società caratterizzate da una forte resistenza al cambiamento, da un’attitudine alla vita molto gioiosa ma anche malinconica, da un ancoramento storico al passato. A contraddistinguerle è una identità forte, molto carattertizzante che attraversa letteratura, arte, storia, cucina, tutti gli ambiti della società, un’identità che può essere anche vincolante per un cambiamento. Penso alle parole del Gattopardo, citate anche nel film, a Cuba ‘tutto cambia perchè tutto resti come è”

Uno dei fenomeni che esplora il film è proprio quelle migrazioni

“Un fenomeno che è sempre esistito e ha attraversato con forza la storia del nostro paese. Ecco perchè noi italiani possiamo empatizzare e comprendere meglio di altri le ragioni di partenze ed esodi, prendendo coscienza del fatto che i migranti non possono essere ridotti a numeri ma sono esseri umani. Anche  quelli della mia generazione – ed io per primo – hanno scelto o sono stati costretti a partire per avere la possibilità di fare ciò che amano. In tanti, soprattutto nel nostro Sud, dove ho registrato un riscontro emotivo più forte nelle proiezioni della pellicola, continuano a lasciare la propria terra. Naturalmente, tutto questo a Cuba è enfatizzato, si lascia il paese spesso in maniera rocambolesca, difficilmente si ha una Visa, si parte con una Lancia di notte, attraversando altri paesi come il Nicaragua. Anche lasciare la propria terra è più difficile”

E’ possibile oggi scegliere di restare a Cuba?

“Ho scelto di raccontare nel film le storie delle persone che li interpretano, sono vicende reali, gli attori recitano la parte di sè stessi. In questo modo volevo restituire autenticità alle vicende narrate. Sono storie diverse con esiti e prospettive differenti. Alexander, venuto in Italia per la prima volta per presentare il film, ha scelto di rimanere a Cuba, convinto che il cambiamento sia possibile dall’interno, attraverso la strada dell’educazione, Edith è, invece, in Italia da un anno, la sua prospettiva su Cuba è diversa, antitetica a quella di Alexander. I due bambini hanno lasciato Cuba per gli Usa. Inevitabilmente, nel raccontare la cultura cubana, ho scelto di fare affidamento su quelle che erano le esperienze degli attori, rubando dal reale e puntando sull’improvvisazione”.

Quale è la tua idea di cinema?

“Mi interessa il cinema del reale in senso ampio, non strettamente connesso al documentario, un cinema contemporaneo al confine tra finzione e documentario, viviamo in una società dell’iperreale, in un mondo virtuale, in cui costante è lo scambio tra linguaggio visivo e realtà che ci circonda. Ecco perchè prediligo il cinema che riesce a restituire uno sguardo autentico, che trasmette l’idea che c’è un’urgenza da raccontare. Resta, comunque, forte il debito con la formazione documentaristica che mi ha sempre ispirato”

Come è cambiato oggi il cinema? 

“Il cinema vive un momento di profonda trasformazione. Sicuramente assistiamo ad una crisi a livello di sistema della sala industriale che inevitabilmente doveva evolversi. Andiamo verso un cinema più esperienziale, legato agli eventi, alla presenza di un dialogo con il regista allo scambio umano, quello che non ti può restituire la piattaforma o verso un cinema legato ai grandi eventi come Barbie o Oppenheimer. Questa diramazione si consoliderà. Penso alla commedia che fino a dieci anni faceva incassi record, è chiaro che sarà destinata alla piattaforma. Ma ci sono film, come questo, il cui linguaggio non è adatto alla piattaforma. Ci sono film che hanno bisogno e avranno sempre bisogno della sala”.