Il bene comune contro la violenza

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Di Gianni Festa

Movida violenta, tentativo di femminicidio, furti nelle case, fiumi di droga che inquinano i cervelli: è il drammatico volto di una provincia che fino a ieri poteva considerarsi un’isola felice. Ormai la criminalità imperversa. Angoscia e paura assalgono le comunità. E’ una grave emergenza. Perché questa terribile escalation come se fosse un assedio? Indubbiamente tra i motivi c’è anche una questione di confini. Avellino e l’Irpinia sono strette tra la più degradata e abbandonata periferia del Napoletano e quella del Salernitano. Da queste zone partono le spedizioni criminali che agiscono nel territorio irpino. Traffico e spaccio di droga sono tra i maggiori reati che qui si consumano. La risposta delle Istituzioni è di grande allerta. Il prefetto di Avellino, Paola Spena, ha mobilitato tutte le energie disponibili, ha frequenti confronti con le forze dell’ordine, ma nonostante l’impegno, la delinquenza non arretra. I criminali, tra loro anche extracomunitari che vengono assoldati dalla camorra, sono spietati: entrano in casa, picchiano duramente i proprietari, prendono oggetti preziosi e danaro liquido e fuggono impenitenti. Quando sopraggiungono i rappresentanti delle forze dell’ordine è ormai sempre tardi. Ma non è solo la guerra tra guardie e ladri, c’è qualcosa di più. Quantunque il ministro dell’Interno, l’irpino Matteo Piantedosi, si decidesse a potenziare, cosa giusta ed urgente, gli uomini per il controllo del territorio, di certo qualcosa migliorerebbe, ma non annullerebbe il fenomeno. Che chiama in causa la società civile e, soprattutto, la politica. In qualche comunità irpina, sono già nate anche le ronde dei cittadini. Laddove sono state sperimentate, però, hanno avuto vita breve per diversi motivi. In realtà, viviamo un tempo incerto, nel quale la tranquillità diventa sempre più un obiettivo lontano. Tutto questo genera inoltre una disaffezione verso il senso del “fare il proprio dovere”. Se il contesto si degrada tutto diventa possibile: la maleducazione si trasforma in violenza, il non rispetto delle regole produce un sempre maggiore disagio sociale. Disoccupazione e povertà rappresentano l’altra faccia o meglio, fatte le dovute eccezioni, la causa primaria del disagio. Per il sindaco di Avellino si tratta di minuzie. Qualche caso non fa statistica. Dichiarazioni, le sue, da far mettere le mani nei capelli. Anche Mussolini, il Duce, di fronte all’imperversare della mafia affermava che essa “non esistesse”. Come si è conclusa la sua dittatura è cosa nota. Il fatto grave è che a minimizzare l’avanzare della criminalità non è solo il sindaco populista, che bene farebbe ad attivare cooperative giovanili a cui affidare servizi inerenti la rinascita della città in agonia, ma sono soprattutto le forze politiche e i sindacati. Da loro silenzio, non un segnale di preoccupazione. I partiti, quelli che ancora resistono, sono impegnati in un eterno scontro sul nulla, dimenticando di inserire nei loro programmi la “questione criminale”, i sindacati ormai gridano al lupo e scappano solo a vederlo. Partiti e sindacati invece, dovrebbero impegnarsi nel recupero dei valori fondanti della comunità civile, come fa la chiesa, anche se con molta distrazione. Diciamo pure che non tutto è perduto. Nel tempo delle grandi incertezze di una società che sembra paralizzata c’è ancora spazio per una via di uscita contro la criminalità e l’uso della violenza diffusa a vari livelli. Occorre mettere in campo una nuova solidarietà attiva in grado di sconfiggere indifferenza e individualismo. C’è bisogno che i responsabili delle agenzie sociali, famiglie, scuola, chiesa, politica e sindacati uniscano gli sforzi come in un coro con un preciso obiettivo: volare alto verso il bene comune.