Il centrodestra cerca la quadra 

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Se il centrosinistra, tramontata ogni ipotesi di campi larghi, é in difficoltà perfino nel percorrere lo stretto sentiero di una coalizione con pochi piccoli satelliti (ne è un esempio l’operazione “salvate il soldato Bonino”), neppure per il centrodestra la attuale fase appare una passeggiata. Il primo incontro ad Arcore non ha annullato diversità addirittura rivendicate e ambizioni dichiarate. Nè dissipato i sospetti di Salini e della Meloni che Berlusconi possa essere attratto da nuovi Nazareni.

Al di là del ventilato impegno a non fare inciuci post-elettorali con altre forze, il summit sembra essersi concluso, più che come un reale accordo politico, come un grande spot. Ciascuno degli attori ha portato a casa qualcosa da giocarsi nella recita elettorale. L’ex Cavaliere, la riaffermazione del suo ruolo non solo di padre nobile e la rivendicazione di alcuni temi a lui cari come la flat tax e le pensioni a mille euro, la riforma della giustizia, ecc. Salvini, il federalismo e l’abolizione (impossibile per ragioni fiscali) della legge Fornero.

La Meloni, il presidenzialismo (per riequilibrare l federalismo) e un piano per la natalità. Insomma, il vero minimo di programma comune è per ora solo la volontà di tornare al governo. Corroborata però dalla probabile forza dei numeri. Infatti tutti i sondaggi convergono su una affermazione del centrodestra che potrebbe collocarlo di alcuni punti al di sotto del 40%. Un passo avanti reale é il superamento delle evidenti frizioni tra FI e Lega sulla cosiddetta quarta gamba centrista, anche se rimangono le riserve salviniane su alcuni fuoriusciti-revenant.

Non appare tuttavia chiaro il numero di seggi ad essi riservato. La questione è oggettivamente ridimensionata dall’adozione della regola che sui candidati nei collegi uninominali deve esserci l’intesa Fi – Lega- Fi. Il tacito rinvio – a quando si faranno i giochi veri, cioé a dopo le elezioni – della questione che può pesare di più sugli assetti del centrodestra, quella della leadership, permetterà ai contendenti la massima libertà di movimento. A Fi, di proporsi come garante del moderatismo contro il populismo pentastellato. E, alla Lega, di diventare il punto di riferimnto elettorale delle crescenti tendenze xenofobe e antieuropeiste.

D’altra parte, Berlusconi non sembra voler attuare alcuno schema innovativo. Nel ’94, all’epoca della sua travolgente discesa in campo, riuscì nell’impresa davvero straordinaria di mettere insieme il partito più nazionalista, quello di Fini, con quello all’epoca secessionista, la Lega di Bossi, attraverso l’espediente delle alleanze separate al Nord e al Su con Fi. Più di vent’anni dopo, la tecnica – favorita dal sistema in buona parte proporzionale – non pare molto dissimile. Assemblare formazioni senza andare molto per il sottile. Resta l’incognita di quanto le differenze tra alleati possano essere un valore aggiunto sul mercato elettorale nel raggranellare voti. Se dovessero risultare eccessive, infatto, potrebbero risultare un fattore inquinante della credibilità della coalizione.

Nell’immediato, un peso crescente lo hanno di più i sospetti politici tra gli alleati. Ne sono vistosi esempi la ridda di aspre reazioni e di interogativi suscitati dal caso Maroni. Considerato un indizio di una futura intesa filo moderata tra un Renzi leader di un partito definitivamente sganciato dalla tradizione di sinistra, un Berlusconi protagonista di un altro predellino e un Maroni leader di una nuova Lega di governo. Disegno audace, ma non privo di una sua suggestione. Per ora, tuttavia, la tradizionale attitudine del popolo italiano alla dimenticanza, insieme alla rabbia sociale alimentata dai numerosissimi errori del Pd, renderanno forse trascurabili anche le notevoli diversità strategiche esistenti nel centrodestra!

di Erio Matteo edito dal Quotidiano del Sud