Il parlamento, la Riforma e la casta

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In Italia non si riesce mai a fare una riforma delle istituzioni organica e che non sia solo una scorciatoia. L’ultimo esempio è il disegno di legge costituzionale sul taglio dei parlamentari. Oggi in Italia ci sono 630 deputati e 315 senatori, troppi. La riforma è già passata in terza lettura al Senato e ora il testo passa alla Camera per quello che potrebbe essere l’esame definitivo del provvedimento: la discussione è prevista a settembre. A votare la riforma che prevede la diminuzione dei seggi a 400 alla Camera e a 200 al Senato sono stati i senatori della maggioranza Cinque Stelle e Lega a cui si sono aggiunti quelli di Fratelli d’Italia. Contrari il PD, il resto del centrosinistra mentre Forza Italia non ha partecipato al voto.  E Berlusconi ha spiegato le ragioni della sua contrarietà che non è relativa alla riduzione del numero dei parlamentari, anzi, ma questa operazione va fatta senza uccidere la democrazia, senza cancellare la rappresentanza dei territori e delle minoranze. E’ esattamente quello che si realizza invece con la legge imposta dalla maggioranza: in intere regioni solo i partiti più grandi potranno eleggere parlamentari.  L’argomentazione di Berlusconi ha un fondamento.  L’obiettivo non è quello di difendere posti, stipendi e privilegi dei parlamentari, ne hanno anche troppi e vanno sicuramente diminuiti. Il problema principale sta proprio in quello scippo di democrazia denunciato da Berlusconi e non solo da lui.  Il primo punto sta in quello che la riforma non risolve. E cioè il problema del bicameralismo, cioè resta intatto il meccanismo che consente alle due Camere di fare esattamente le stesse cose. Unico esempio tra i grandi paesi europei. Insomma la riforma non andrà a migliorare l’efficienza dell’iter legislativo e il funzionamento del Parlamento.  La seconda questione riguarda quello che ha messo in evidenza il vicedirettore dell’Huffington Post Alessandro De Angelis cioè “l’effetto di un Parlamento meno rappresentativo e di una democrazia più debole e, come si ama dire oggi, più disintermediata, tra leader e popolo. È questo il grimaldello populista, nell’illusione della democrazia diretta. Perché è evidente che si riduce, e non poco il rapporto tra eletti ed elettori, rendendolo meno diretto. Con questa riforma viene enormemente dilatato lo spazio dei collegi elettorali, per cui ogni deputato rappresenterebbe oltre 400.000 abitanti e ogni senatore oltre 800.000. Sono numeri che allentano il rapporto eletti-elettori, che impattano sulla capacità effettiva di presenza nel territorio, sull’esercizio della funzione rappresentativa, sulla possibilità di fare campagne elettorali, in epoca in cui non c’è più il finanziamento pubblico. Parliamoci chiaro, questo risponde a una precisa visione: i parlamentati come tanti carneadi, eletti grazie al messaggio politico nazionale dei leader, chiamati poi, una volta eletti, più che a rappresentare, semplicemente ad eseguire decisioni che vengono prese dai leader grazie ai quali sono stati eletti”.  A queste osservazioni critiche i Cinque Stelle replicano che non c’è nessuna morte della democrazia ma solo l’obiettivo di rendere le Camere più efficienti, riducendo il più alto numero di rappresentanti eletti in Europa e mettendo fine ad una ingordigia politica, facendo risparmiare circa 500milioni di euro a legislatura, tagliando ai politici e ridando al popolo che si riappropria di soldi suoi che così saranno restituiti alla comunità. Tutto condivisibile ma la verità è purtroppo diversa. Non c’è l’ambizione di fare una grande riforma ma per la maggioranza di oggi (Cinque Stelle – Lega) o per la maggioranza renziana di un’altra riforma epocale quella che doveva riformare la Costituzione, l’unica cosa che conta  è rivendicare come uno scalpo quello di battersi contro la Casta senza ammettere mai che chi governa è establishment e non può giocare troppe parti in commedia a seconda delle convenienze del momento.

di Andrea Covotta