Il Pd renziano e le sue contraddizioni

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Il Pd renziano continua nelle sue tensioni e contraddizioni interne. Le polemiche al Segretario- Presidente non mancano anche se sono annullate dal debordante protagonismo di Renzi. Bersani è sulla difensiva. Oscilla tra un mutismo isterico e un realismo coercitivo che lo spinge, di tanto in tanto, a dispensare qualche consiglio, con l’idea di diventare un padre nobile che ha a cuor solo le sorti del PD. Ma i suoi suggerimenti spesso cadono nel nulla poiché Renzi non accetta nessun padre putativo. D’Alema, invece, è apparentemente uscito di scena anche se all’ombra del Nazzareno tesse la trama contro il suo peggiore denigratore che lo ha irrimediabilmente colpito con la sua rottamazione. Aspetta il logoramento di Renzi, ben conoscendo che Palazzo Chigi è un Palazzo che non ama gli inquilini di lungo corso, tranne rarissime eccezioni. E Renzi può diventare la deroga al principio della brevità dei premier italiani. A lui per il momento non s’intravede alterativa né fuori, né dentro il Pd. La sua leadership è incontrastata e assoluta per questo alla richiesta della minoranza interna al Pd di lasciare la guida del partito rinunciando al doppio incarico, Renzi ha risposto con un secco no. Abbandonare la segreteria del Pd sarebbe per lui come rinunciare alla fonte di legittimazione della sua leadership, rafforzata dal fatto di essere anche segretario del maggiore partito italiano. Lo sdoppiamento dell’incarico risulterebbe anche in controtendenza rispetto al leaderismo che domina ormai la politica attuale, tanto da diventare il perno delle democrazie occidentali, tutte governate da forti e autorevoli leader , lontani da forme di assolutismo cesaristico e dalla tentazione dell’uomo solo al comando, debolezza, purtroppo, di cui l’Italia non è proprio immune. L’avanzare del leaderismo è dovuto alla crisi dei partiti di massa governati non da un solo uomo ma da un gruppo dirigente, formula questa che spesso non è sfuggita a degenerazioni oligarchiche. La crisi dei partiti dopo tangentopoli ha introdotto nel sistema politico italiano sempre di più una personalizzazione del potere come ha ampiamente dimostrato Mauro Calise nel suo ultimo libro “La democrazia del leader”. Calise da qualche tempo s’interroga su questa trasformazione epocale della nostra democrazia che scivola sempre di più verso forme di personalizzazione del potere. Un’evoluzione che secondo il politologo rende la nostra democrazia irriconoscibile , senza una rappresentanza funzionale, senza partiti governanti e senza elettori partecipanti. Al centro della scena resta solo il leader che rischia di diventare un re nudo con una scarsa legittimazione popolare anche a causa degli aberranti sistemi elettorali come il porcellum e l’Italicum,( quest’ultimo in misura ridotta) che favoriscono la nomina dei deputati e non la loro completa elezione da parte del corpo elettorale. Un meccanismo infernale che scoraggia sempre di più la partecipazione al voto anche se favorisce la scelta di deputati fedeli al leader, aumentando così la sua influenza e la sua leadership che con il tempo rischia di trasformarsi in leaderocrazia, neologismo forzato, ma che rende il concetto di intramontabilità del potere con le sue pericolose degenerazioni.
edito dal Quotidiano del Sud