Il secondo fronte

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Proprio mentre si avvicina la resa dei conti con la Commissione europea sulla legge di bilancio, un secondo fronte di battaglia si apre, inatteso, nella maggioranza e rischia di indebolirla in una fase cruciale del suo cammino parlamentare. Nelle votazioni al Senato sul decreto legge per Genova nel quale sono stati inseriti interventi per altre recenti emergenze nazionali compreso un vistoso condono edilizio per Ischia, si è manifestata una aperta dissidenza nel gruppo dei Cinque Stelle che porterà probabilmente a qualche espulsione e ad altre misure disciplinari, con inevitabile strascico polemico. Il decreto legge su Genova è poi stato approvato, anche se sono stati necessari ben tre mesi di tira e molla, perché la modesta (numericamente) fronda grillina è stata compensata dai voti di Forza Italia, accettati volentieri questa volta dal capo politico del Movimento Luigi Di Maio; ma il nodo politico resta irrisolto, e chiama in causa direttamente la tenuta del gruppo e la stessa fisionomia politica del “non partito”  di Grillo e Casaleggio.
Il problema non è nuovo. Si era proposto anche nella scorsa legislatura, quando le radiazioni o le dimissioni spontanee erano state numerose; ma allora i Cinque Stelle erano all’opposizione e il danno era stato contenuto. Questa volta è diverso: Di Maio è vice presidente del Consiglio e controlla i quasi la metà della maggioranza, che però al Senato è fragile potendo contare solo su sei voti di margine. Che succederà se la dissidenza dovesse consolidarsi e magari crescere di numero? C’è chi ha contato  ben quindici senatori in più o meno aperta contestazione delle direttive che piovono dall’alto; alcuni di essi fanno capo al presidente della Camera Roberto Fico, che nel Movimento rappresenta una posizione alternativa a quella di Di Maio, altri sono mossi da motivazioni politiche e culturali come l’ambientalismo o i diritti civili sui quali i Cinque Stelle hanno fatto leva per ingrossare le proprie file ma che ora faticano a conciliarsi pienamente con una politica di governo. Il dissenso si era già manifestato nella discussione sul decreto sicurezza, bandiera della Lega, approvato solo grazie alla fiducia, che già di per sé è un segno di debolezza di chi la chiede; ma ora le occasioni si moltiplicano. C’è il condono edilizio e c’è anche la dura polemica aperta da Di Maio e Di Battista contro giornalisti ed editori dopo l’assoluzione della sindaca di Roma Virginia Raggi. Alcuni dei dissidenti sul condono hanno contestato anche gli attacchi alla libertà di stampa, e una senatrice è arrivata al punto di chiedere le dimissioni dei giornalisti eletti in Parlamento. Naturalmente non si arriverà a tanto, ma i segnali di insofferenza si intensificano e destano preoccupazione. Matteo Salvini, in particolare, che può contare su un partito e su gruppi assolutamente compatti, osserva con inquietudine le difficoltà in cui si dibatte il suo collega di governo, e teme che l’imminente rientro in Italia di Alessandro Di Battista possa accrescere le fibrillazioni. Se, infatti, per recuperare il calo di consensi che i sondaggi stanno evidenziando, l’alter ego di Luigi Di Maio tornasse a stimolare le pulsioni estremiste dei simpatizzanti e di parte dell’elettorato, è indubbio che in una fase delicata come l’attuale, nella quale al fronte aperto con l’Europa si aggiungono gli incidenti di percorso in Aula o nelle commissioni di Camera e Senato, un rilancio movimentista dei Cinque Stelle potrebbe rivelarsi controproducente. Proprio nelle scorse ore sono volate parole grosse fra Salvini e Di Maio sul tema dei rifiuti in Campania e sulla riforma della giustizia. E non è un buon segnale.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud