Il senso della politica

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Ha ancora un senso parlare di destra e di sinistra in politica? E la stessa politica, nell’era della globalizzazione, conserva ancora il significato originario di governo della “polis”? Sono domande legittime alle quali si stenta a dare una risposta nel periodo che stiamo attraversando, di profonda frustrazione e di antipolitica galoppante. Non solo nella nostra piccola Italia, ma in tutti gli stati europei e perfino negli Stati Uniti, dove si ripetono episodi di razzismo ed intolleranza. e solo qualche mese fa non si pensava possibile che un personaggio come Trump, in nome dell’antipolitica e del più smaccato populismo, potesse sbaragliare tutti gli avversari e gareggiare per la Casa Bianca, usando metodi e linguaggio alla Marine La Pen o alla Matteo Salvini! Anche l’antipolitica, la frustrazione, l’insicurezza, gli istinti più egoistici e razzisti pare si siano globalizzati. Di fronte a questo nuovo modo di intendere la politica, le parole destra e sinistra fanno ancora la differenza o si pensa ad un solo calderone nel quale confluiscono tutti per fini personali (come, purtroppo, insegna l’ultima vicenda della famiglia degli Alfano) che pare essere l’unico collante che tiene insieme personaggi che fanno finta di stare al servizio della gente e di risolverne i problemi mentre danno la sensazione di badare solo ai propri? Dalla Rivoluzione francese in poi, i principi di libertà, fratellanza e uguaglianza, entrarono nel lessico dei partiti che si ispiravano al cambiamento che perciò furono detti di sinistra. Da allora la sinistra ha ipotizzato e lottato per realizzare una società nella quale la classe lavoratrice avesse un ruolo fondamentale e nella quale ai suoi membri fosse assicurata una situazione di parità, la scelta dei propri rappresentanti mediante un sistema di democrazia partecipata, una istruzione pubblica e sufficiente, protezione sociale, egualitarismo e pari opportunità, più equa redistribuzione delle risorse. Per la sinistra non è accettabile la riduzione dell’individuo a soggetto del mercato, oggi globalizzato, che decide e governa le nostre vite con la conseguenza dello svuotamento dei diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, lo stato sociale e perfino l’acqua e l’ambiente. La sinistra si è connotata per la valorizzazione della dignità delle persone, che si acquista e si conserva mediante il lavoro, che la nostra Costituzione tutela nei suoi principi generali (Artt. 1 – 35 – 36). Nel secolo scorso si è incarnata nelle idee e nei movimenti del socialismo, della socialdemocrazia, del progressismo, del comunismo. La destra è stata sempre intesa come sinonimo di conservazione dello status quo, dell’ordine sociale e gerarchico; sulla diversità delle persone, sul libero mercato, sul capitalismo economico, sui rapporti di forza tra i singoli, sulle differenze sociali, sulla preminenza del mercato sullo Stato. Si è incarnata nelle idee del liberismo, del capitalismo, dei regimi autoritari generando fenomeni come il nazionalismo, il fascismo, l’autoritarismo. Nella prima Repubblica erano considerati di sinistra il partito comunista, quello socialista, il socialdemocratico; di destra i liberali, i monarchici, i missini; la Dc e il PRI più centrali nello schieramento politico del tempo. La DC si è sempre qualificata un partito di centro che guardava a sinistra che, nel tempo ha coinvolto nella maggioranza, prima con i socialisti, poi con i comunisti. Oggi il PD, partito nato dalla fusione dei due riformismi, cattolici e socialisti, nella gestione Renzi può ancora considerarsi di sinistra? Molti elettori che lo stanno lasciando pensano di no. Chi, oggi, può essere considerato di sinistra? Sicuramente Papa Francesco e con lui tutta la chiesa di avanguardia; sicuramente quelli che si richiamano ai principi generali della Costituzione che, purtroppo, stanno annacquando. Il M5S è un partito/ movimento di destra o di sinistra? Al momento, forse, non è sbagliato ritenerlo né di destra né di sinistra e che rappresenti – come analoghi movimenti in Europa – uno sbocco e un coagulo alla frustrazione, all’insicurezza, al sentimento di disprezzo dei politici, dei quali si fa di ogni erba un fascio. E’ insomma un partito che nasce dall’antipolitica che rappresenta quella parte dei cittadini (il 30% di quelli che lo votano e forse, in futuro, una buona parte di quelli che si astengono) che non ha ancora trovato una sua collocazione. Ora che sta assumendo posizioni di governo delle città e si candida a quello dello Stato nazionale, dovrà scegliere se fare una politica di destra o una di sinistra. In Italia non siamo ancora in un sistema tripolare classico e i partiti, di destra e di sinistra, che si sono dimostrati incapaci di rinnovarsi e non sono più in grado di interpretare e rappresentare la massa popolare dovranno scegliere e perseguire un modello di collettività in una società radicalmente cambiata e globalizzata perché, se oggi la politica non può governare i processi economici ne dovrebbe governare le conseguenze sociali. Da qui si vedrà se praticheranno una politica di destra o di sinistra perché di una politica di “sinistra” si ha ancora oggi bisogno se un tecnocrate della statura di Cristina Lagrange (Direttrice del Fondo monetario internazionale), non certamente di estrazione marxista, dice che: “Bisogna imparare a redistribuire le ricchezze, imporre limiti ai privilegi e tutelare i più deboli” e che “Si è scavato il divario tra vincitori e perdenti, sono aumentate le disuguaglianze”. La crisi nel PD sta tutta qui! Nella gestione Renzi è un partito che fa una politica di destra o di sinistra?
edito dal Quotidiano del Sud