Sono passati 40 anni da quel tragico 23 novembre. E’ un tempo sufficientemente lungo perché la memoria possa archiviare le emozioni vivissime che tutti abbiamo vissuto in quei momenti drammatici, il dolore, la polvere, lo stupore di ritrovarsi tutti improvvisamente per strada, privi della sicurezza dell’abitazione e angosciati per la sorte dei nostri cari. Il tempo indebolisce la memoria e trasforma tutto in un brusio di sottofondo in cui le passioni si spengono, le emozioni, le sofferenze, i lutti, le speranze si amalgamano e perdono quell’intensità con cui ci avevano interpellato.
Se mi chiedo cos’è rimasto di quel tempo, devo constatare che l’Italia è profondamente cambiata, è diventato un altro Paese, nel quale i giovani di allora non si potrebbero più riconoscere. Siamo diventati una nazione immersa nei riti di un egoismo individualista e rancoroso, i legami sociali sono stati lacerati, la lotta di classe da esperienza di solidarietà collettiva si è trasformata nella lotta di ciascun individuo contro tutti gli altri, gli educatori collettivi (partiti democratici, sindacati, associazioni di partecipazione sociale, strutture parrocchiali, etc) si sono svuotati di popolazione ed hanno smarrito il proprio ruolo, mentre si sono attivate strutture di diseducazione permanente che soffiano sul fuoco del disagio per alimentare il rancore sociale e creare nuove linee di frattura nella società.
Se mi volto indietro e guardo all’esperienza del terremoto nel suo complesso, quello che mi rimane e supera l’oblio è la sensazione che l’Italia era un Paese profondamente diverso, certamente più povero ma dotato di grandi ricchezze che fanno la differenza e non si possono archiviare.
Io credo che la cifra che contrassegna l’esperienza del terremoto dell’80 in Irpinia sia stata la straordinaria risposta di solidarietà che è venuta dalle strutture sociali attive nel Paese.
Si è mosso un esercito di volontari che ha invaso pacificamente il cratere, è penetrato in tutti i borghi, ha interessato quasi tutte le famiglie, ha spezzato il pane della solidarietà alleviando la solitudine e portando conforto a quanti erano stati duramente colpiti.
Fra le tante esperienze voglio ricordare il campo base allestito a Teora dalla FLM di Milano e Brescia, animato da una giovane appassionata sindacalista, Luisa Morgantini, scesa in Irpinia, con una colonna di operai metalmeccanici lombardi, dove prevedeva di restare un mese. Invece è rimasta un anno, alloggiata in una roulotte. Gli operai erano tutti volontari, giovani che avevano sacrificato le loro ferie e si alternavano nel campo base con turni di 15/20 giorni. Ricordo la mensa che avevano allestito sotto una grande tenda, dove tutti erano accolti con fraternità. Il tendone era diventato un luogo di ritrovo dove volontari e giovani cenavano, discutevano e stavano insieme in letizia. Anche quelli che avevano la possibilità di cenare nelle proprie famiglie, in quelle poche case che in campagna o altrove avevano resistito al sisma, preferivano mangiare scatolette di tonno e fagioli nel tendone dei volontari. Ogni sera i giovani del paese buttavano alle ortiche le loro ansie e si univano ai volontari intonando canti liberatori. La mensa funzionava con la collaborazione attiva dei giovani del paese che l’arricchivano con le loro tradizioni. Così nel Natale del 1980, la mensa sfornò le zeppole per tutti gli abitanti di Teora.
In quei giorni, in quei mesi, due Italie si sono incontrate, il nord ed il sud, si sono riconosciute, si sono scambiate esperienze e competenze, si sono strette amicizie profonde, sono nati amori. Le donne sono state protagoniste, sono state realizzate delle cooperative. Una cooperativa di donne, denominata “la metà del cielo”, nacque su impulso della Morgantini, che riuscì a mandare molte ragazze del luogo a Milano ad addestrarsi nell’arte di dipingere su tessuto, superando i timori e le resistenze delle famiglie. Questo nuovo protagonismo delle ragazze e dei ragazzi irpini fu riassunto in uno slogan: “vogliamo viaggiare, non vogliamo emigrare”.
Estratto dal volume Irpinia 1980-2020 – Memorie di un terremoto durato 40 anni, Delta Tre, in corso di pubblicazione.
di Domenico Gallo