Il volo dell’angelo di Gesualdo e il culto micaelico

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Le nostre estati gesualdine sono ricche e movimentate, come tutte quelle dei piccoli paesi che portano avanti alcune tradizioni. Occasioni per ritrovarsi con amici e parenti in ricorrenza delle feste patronali, che da noi cadono nel mese di agosto. Ad Agosto è d’obbligo rimanere a Gesualdo, non solo per tradizione, ma soprattutto per il piacere di ritrovarsi! Molti emigrati tornano a Gesualdo per trascorrere in famiglia le feste, un legame forte che la comunità ha con il Santo Protettore, perché queste festività fondono folklore, fede e tradizioni, frutto di riti che hanno resistito negli anni, a cui molte volte la religione si è collegata per agevolare la sua propagazione. La festa del Patrono, o Santo Protettore, ha intento spirituale e sociale: è un’occasione di incontro e di dialogo tra persone della stessa comunità. La loro celebrazione, va al di là del semplice concetto di festa, perché queste festività nascono dalla fusione di culture, tradizioni, usi e costumi diversi che si sono tramandati negli anni. Hanno un altissimo valore simbolico, poiché si legano ad antichi riti propiziatori e di purificazione, legati inscindibilmente a primitive celebrazioni pagane.

Nei primi anni del cristianesimo, come sappiamo, la Chiesa ha collocato le feste religiose nelle stesse date, o periodi in cui venivano effettuate le feste pagane, dando loro una certa continuità, in modo che il popolo contadino, accettasse la nuova religione. La loro continuazione, il loro mantenimento nel tempo, risponde al desiderio e alla necessità essenziale dell’uomo di dare spazio, non solo alla spiritualità, ma anche alla socialità: sono momenti in cui la famiglia si riunisce, per questo sono state vissute sempre con manifestazioni di gioia e di festosità, permettendo di allontanarsi dalle preoccupazione quotidiane. Il calendario delle feste patronali, soprattutto da noi, nel meridione, è legato al periodo estivo, periodo in cui i contadini erano più liberi dai lavori nei campi, a raccolto ultimato, per ringraziare se il raccolto è stato buon, ma per chiedere al Santo affinché interceda per una abbondante raccolta del grano o di altri prodotti della terra per il nuovo anno: infatti, la maggior parte delle feste patronali si svolgano a ridosso di importanti avvenimenti, legati soprattutto all’agricoltura, alla semina, o alla raccolta del grano o alla vendemmia. Sono la descrizione di un territorio, delle sue tradizioni, dei sapori autentici e delle passioni forti con un legame al passato. Un modo per continuare a mantenere vive le tradizioni: una miscela di sacro e profano, che narrano di miracoli e leggende, offrendo anche percorsi enogastronomici legati al territorio, dove trova spazio anche la rivalutazione dell’artigianato locale.

Alle feste patronali estive, spesso sono collegati antichi riti legati al grano, in modo particolare in onore di San Rocco. In Campania si concentrano, come detto, nei mesi dell’Estate, varie ricorrenze che festeggiano le abbondanti messi e celebrano la terra per propiziarsi i futuri raccolti. Una delle forme più elementari di devozione e di ringraziamento è rappresentata dall’offerta di grano come misura massima di riconoscenza.

In alcuni comuni, della provincia di Avellino vari sono i riti che sono stati tramandati Carife, e Frigento c’è la tradizione del “mezzetti”, che non sono altro che il simbolo dell’arcaica offerta sacrificale che si dedicava alle divinità pagane per entrare nelle loro grazie e sperare in una vita meno dura. Alla festività di San Rocco e Maria SS. Addolorata, che si celebra la penultima domenica di agosto, segue la domenica successiva, l’ultima domenica di agosto, una tradizione molto antica, quella del “Volo dell’Angelo” in onore di San Vincenzo Ferreri, sicuramente una continuazione di un culto micaelico legato al teatro medievale. Anche questa una festività legata al periodo estivo, al fluire ciclico degli eventi agresti dove il tempo profano, segnato dalla maturazione del grano e dai riti di ringraziamento per il raccolto si sovrappone al tempo sacro, è caratterizzato dalle celebrazioni patronali in onore dei Santi o della Vergine. Nel Sud Italia, in Campania ed in Molise in particolare, (terre facenti parte della Longobardia Minore) sono numerose le rappresentazioni sacre che vedono il coinvolgimento della figura dell’Angelo, impersonato da un bambino o una bambina, a seconda dei luoghi, legato ad una fune d’acciaio che scorre su carrucole e che incontra talvolta figure diaboliche, a simboleggiare lo scontro tra il bene ed il male. L’Angelo esalta le virtù della fede nell’elogio al Santo o alla Vergine ed esorta il popolo a combattere le insidie del male ed a rendere omaggio per le messi abbondanti.  Il significato antropologico della festa si materializza nella simbologia della figura del bambino-angelo, che vola al di sopra della gente, coraggiosamente intraprendente, nonostante la tenera età. La lotta si placa quando l’Angelo trionfante riprende il suo volo fino al campanile, acclamato dalla folla. Pensando all’iconografia dell’Angelo (di San Michelarcangelo).  l’Angelo guerriero a capo delle schiere celesti, raffigurato, al pari di Odino, mentre brandisce la spada e imbraccia lo scudo, fu elevato a patrono dei guerrieri e degli eroi, come lo era stato il dio germanico, dai Longobardi. Patrono di un popolo di guerrieri, potente e temuto capo degli eserciti divini, che con la sua spada infuocata guida alla vittoria i popoli contro le tenebre, appare per accompagnare le anime degli uomini valorosi nell’aldilà. L’Arcangelo Michele, come sappiamo, divenne dopo la conversione al Cristianesimo da parte dei Longobardi, loro patrono, e il Santuario del Gargano considerato come Santuario ‘nazionale’.  Da qui il culto micaelico che in seguito si diffuse in tutti i luoghi in cui avevano regnato i Longobardi.

Sappiamo che, sulla base delle Sacre Scritture, la tradizione ha elaborato come attributo iconografico dell’Arcangelo Michele la spada sguainata (o la lancia), che si associa allo scudo. Questi tratti bellicosi ne favorirono l’adozione, come già detto, quale Santo protettore dai Longobardi: l’Arcangelo invincibile divenne simbolo della vittoria e del potere militare. Fu visto come un guerriero, protettore della fede in Dio davanti a Satana, tema affrontato successivamente anche da Milton nel suo poema epico “Paradiso perduto”. Un tempo uno dei più potenti Arcangeli, Satana guidò la ribellione contro Dio e poi complottò per rovinare le ultime creazioni di Dio: l’umanità e il paradiso. Il più bello e potente degli angeli, una specie di antieroe. Il suo grande peccato fu negare la sua sottomissione a Dio ed affermare che gli angeli si siano fatti da sé. Questi temi sono rappresentati tutti nella tradizione del “Volo dell’Angelo” che si tiene a Gesualdo, in occasione della festa di San Vincenzo Ferreri. La Città, che sia fortemente legata al culto micaelico, per la sua origine longobarda, è palese: porta avanti il rito del “Volo dell’Angelo” in occasione della festa del Santo protettore San Vincenzo Ferreri, il Santo che spesso è raffigurato come l’Angelo dell’Apocalisse con le ali e la tromba, con la stessa iconografia dell’Arcangelo Michele. Oltre alla tradizione del “Volo dell’Angelo, la presenza di una pregiata Statua di San Michele nella Chiesa dell’Addolorata ci conferma quanto questo culto fosse radicato sul territorio. Le due Confraternite, in modo diverso sono legate all’Arcangelo Michele. Senza dimenticare che il Castello di Gesualdo originariamente si chiamava “Castel Sant’Angelo”.

Si è sempre sostenuto che la tradizione del Volo dell’Angelo sia molto recente, perchè non abbiamo documenti che forniscono indicazioni precise sull’anno di nascita. Per la festa di San Vincenzo, invece, è possibile indicare con precisione la data di nascita, perchè è giunto fino a noi un manifesto del 1922, anno in cui, nei giorni 24, 25, 26 e 27 agosto, si celebrò il centenario di questa festa. Sotto alcuni aspetti, possiamo ipotizzare che il “Volo dell’Angelo sia legato al culto micaelico, e che sia esistito da tempi remoti, ma che fosse rappresentato in altra forma, secondo i canoni del teatro religioso medievale. Fondamentale, in tal senso, è la lettura del Diario del Canonico don Giuseppe Forgione: “Notizie dal regno” (1860), il quale, riferendosi alla festività di San Vincenzo, scrive che in data sabato 22 settembre 1860 vi era la festa in onore di San Vincenzo, e la descrive dettagliatamente: “La Congrega del Rosario ha celebrato la solita festa di San Vincenzo con la solita illuminazione del catafalco fino alla piazza con le scene di passo in passo”. In data di domenica, 23 settembre si legge che “…si è onorato il Santo con l’orazione panegirico… la solita processione con un lungo sparo di mortaretti…”, ma non fa parola del “Volo dell’Angelo”, per cui si è sempre pensato che questa tradizione fosse recente, posteriore al 1860.  Se andiamo ad analizzare bene le descrizioni del canonico, troviamo probabilmente, le risposte che cerchiamo! Prima di tutto dice: “La Congrega del Rosario ha celebrato la solita festa di San Vincenzo”, le Congreghe infatti, ebbero un ruolo fondamentale per l’organizzazione del teatro religioso nel Medio Evo. Per meglio comprendere cosa volesse intendere con “le scene di scene passo in passo” necessita fare un discorso a ritroso, rifacendoci ad alcune manifestazioni religiose risalenti al teatro medievale, delle quali ci sono giunte notizie e che si tenevano nelle Chiese. Come sappiamo, nel Medioevo la Chiesa vide nel teatro religioso un potente strumento per raggiungere due obiettivi fondamentali: insegnare con facilità al popolo gli episodi della Bibbia, del Vangelo e le vite dei Santi e alimentare il fervore della fede.  In tal senso, all’interno della Chiesa venivano allestite “le Sacre Rappresentazioni”, inizialmente erano dei religiosi che facevano queste Sacre Rappresentazioni, successivamente furono affidate ad attori dilettanti (persone comuni che si dedicavano a questa attività per fede, e per passione, senza ricevere alcun compenso) recitavano spostandosi in spazi diversi della chiesa, chiamati “luoghi deputati”.

Con lo scorrere del tempo l’organizzazione delle città medievali si era modificata, in particolare con l’ascesa della classe borghese e mercantile che si organizza in corporazioni di arti e mestieri; contemporaneamente sul fronte religioso prendono vita le Confraternite: gruppi composti da religiosi che decidono di portare fuori dalle mura della Chiesa il messaggio di Dio.

Saranno proprio le corporazioni laiche e le Confraternite dei religiosi, a partire dal XII secolo, a prendere in mano l’organizzazione e la gestione delle liturgie teatrali: in particolare dal 1300 in poi le Confraternite avocarono a sé l’incarico di organizzare gli spettacoli, in collaborazione con le corporazioni, che si preoccupavano della costruzione e dell’arredamento delle scene, questo è il primo punto che troviamo scritto nella descrizione del canonico, il quale, infatti, scrive: “la Congrega del Rosario ha organizzato la festa di San Vincenzo”.  Secondo punto: dopo la Chiesa è la piazza, il teatro si sposta nella città stessa attraverso le vie (soprattutto nel Seicento).  Gli spazi della Chiesa vengono sostituiti da quelli della città: “Catafalco fino alla piazza con le scene di passo in passo”, come descrive il Canonico Forgione. Il “Catafalco”, in seguito potrebbe essere stato sostituito dalla fune e le “scene di passo in passo”: le Sacre Rappresentazioni, molto probabilmente si materializzarono nella figura del bambino-angelo, che vola al di sopra della gente. Oltre ai luoghi, cambiarono anche i temi: furono scelte nuove storie da raccontare. Non più la Resurrezione di Cristo, ma la sua Passione mettendo in luce l’umanità di un uomo che si sacrifica per il genere umano. E ancora le storie dei Santi raccontate nei Miracoli, in cui queste figure di uomini e donne speciali sono presentati quali intercessori e mediatori della grazia divina. I sentimenti del popolo venivano toccati dal realismo e dall’umanità di questi racconti e le coscienze venivano rafforzate nel nome di un unico Dio. Le opere miracolose erano strettamente legate al tipo di mistero, ma si concentravano sulle vite e sulle opere dei Santi. Molti erano basati sulle Scritture, altri si basavano sul sentito dire e leggenda. Se un Santo aveva una festività designata all’interno della Chiesa, vedi San Vincenzo a Gesualdo, le rappresentazioni per quel Santo erano solitamente tenute quel giorno, ma la gente le eseguiva anche più in generale durante l’anno come un modo per mostrare sia la grandezza di Dio sia il potere della fede. Avviene così un salto di qualità rispetto a quanto era stato organizzato fino a quel momento.

Altra innovazione: viene utilizzata la lingua volgare al posto del latino e vengono impiegati attori dilettanti che appartengono al mondo laico, quanto accaduto anche all nostra tradizione locale: I due attori principali l’Angelo e il Diavolo, non sono dei religiosi, ma gente comune e il testo che recitano l’Angelo e il Diavolo è scritto in lingua volgare. Gli aspetti fondamentali del teatro medioevale che sono arrivati a noi, attraverso Il rito del “Volo dell’Angelo”, ci sono tutti: dalla drammatizzazione, ai temi teatrali religiosi, nel nostro caso, legati alla figura dell’Arcangelo Michele, la componente liturgica e didattica sviluppata in una forma drammatica in lingua volgare, tutti questi elementi ci farebbero propendere che la sua origine sia legata al teatro medievale intorno al culto di San Michele Arcangelo.  Grazie a queste tradizioni che si sono protratte fino a noi, è stato possibile conoscere alcuni aspetti del teatro medievale, perché legate alla liturgia religiosa, al contrario, le forme strettamente popolari, se esistenti, tramandate oralmente, non legate alla cultura alta, letterale e scritta, non hanno lasciato traccia. (Giuseppina Finno)