La crisi abita la storia del Mezzogiorno

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Ma oggi, in una stagione di interregno, dove coesiste “il vecchio che non muore e il nuovo che non nasce”, il Sud si sta svuotando pericolosamente. Si svuota di energie, di risorse, di futuro. Il Mezzogiorno, all’interno di questo scenario drammatico, con una disoccupazione dalle cifre vertiginose, vede nel frattempo scomparire intere generazioni di giovani. Francesco Saverio Nitti scriveva che “il problema della libertà e l’avvenire dell’unità sono nella soluzione del problema meridionale”. La profezia dei grandi meridionalisti, come Nitti, è oggi più che mai attuale. La ripresa dell’Italia passa necessariamente attraverso il Mezzogiorno. Quella che una volta era la “questione meridionale” è sempre più “questione” nazionale, sempre piú snodo cruciale per uscire dalla crisi. Il punto, oggi, è intervenire presto ed evitare il rischio che nel frattempo questa crisi epocale senza precedenti diventi alla fine crepuscolo. Ricostruire, è la parola d’ordine, in Italia come in Europa. Soprattutto nel Meridione, dove bisogna fare i conti con il disastro delle macerie sociali, politiche e culturali della crisi pandemica ma anche degli ultimi decenni. Dove un certo Paese fatica persino a morire, in realtà è già morente, trovandosi in una fase di implosione/distruzione. Un panorama incerto che ha come conseguenza la sfiducia nella res publica, E’, invece, il momento per tentare la risalita, dopo aver toccato il fondo. Non si può far a meno di riaccendere la scintilla del futuro per provare a ricercare una via d’uscita dal tunnel buio di una crisi invasiva e pervasiva che stringe in una morsa sempre più comprimente il destino di un popolo meridionale disilluso e depresso. Servono energie nuove che sprigionino idee e tirino “schiaffi” a mentalità vecchie becere marce e, come ha scritto Bauman, “che finalmente accendano un cero in una lunga notte buia che sta impedendo alla farfalla di uscire da quel maledetto bozzo. E produrre nuova vita”. In tanti pensano ormai che il Sud non debba più aspettarsi molto. Soltanto “i terroni” possono redimere i terroni, il Meridione. Il problema è riuscire ad avere condizioni di partenza il meno disuguali rispetto al resto del Paese per ridurre il divario Nord/Sud. La politica, in questi anni di crisi, ha smesso di percorrere i sentieri impervi e necessari di un’utopia, di un progetto, di una “costruzione sociale”, per prospettare un orizzonte nuovo, oggi molto lontano da intravedere, di avere una “visione” per un Paese che ha smarrito il proprio cammino “ideale” verso il futuro. Il Sud è stato svuotato di energie e risorse intellettuali, e purtroppo non si può non certificare che in politica vi sia una rappresentanza meridionale inconsistente. Il Mezzogiorno è ostaggio di logiche vecchie perverse e per cambiare deve provare ad affrancarsi da certe tare che pesano come una zavorra sul presente. Il vecchio anemico ceto politico non può più trincerarsi dietro vetusti gattopardismi, non può più mascherarsi dietro la facciata rifatta di un “nuovismo politico” che ha giá fallito. La classe politica nazionale e meridionale è avvertita, il nuovo che verrá non può coesistere con il vecchio che resiste.

di Emilio De Lorenzo