La lezione di “Chicca”

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Che cosa può attraversare la mente di un essere umano mentre usa violenza su una bambina innocente, consegnando il suo corpo e insanguinando il lastrico, sede di vita di una comunità popolare? Non lo sapremo mai. Perché il perverso acceca la ragione e brutalmente la rende nulla. E ancora. Quali atroci meccanismi si mettono in moto quando la furia omicida di una guerra ingiusta, come tutte, travolge la mente di chi scarica quantitativi straordinari di armi su Aleppo, uccidendo il solo pediatra rimasto in trincea a curare piccoli che altrimenti avrebbero perso la vita? Sono interrogativi agghiaccianti che narrano di storie raccapriccianti le cui vittime sono sempre i bambini. Dai quali, nel caso della piccola Chicca, si apprende oggi una grande lezione di moralità. Se non fosse stato per le sue amichette, che con la loro spontanea confessione hanno consentito di raggiungere il mostro omicida, mai forse si sarebbe scoperta l’atrocità di una vicenda senza comprensibili confini. Una lezione di vita contro l’omertà degli adulti, che vedono, ma fingono di non aver visto, sanno, ma non hanno lingua per parlare. Affermare che in questo mondo si acuisce lo scontro tra modernità e brutalità, potrebbe sembrare un esercizio retorico se non fosse per la mostruosità di storie che sconvolgono e lasciano inorriditi. C’è un punto di non ritorno oltre la propria coscienza, oltre l’immaginario collettivo, oltre la vita stessa. Per un solo attimo, fermate la mente sulla terribile scena svoltasi sul maledetto balcone di una palazzina del Parco Verde, a Napoli, diventato simbolo di incredibile efferatezza. La realtà si trasforma in horror e il rifiuto totale di quella scena si coniuga con il desiderio di una immediata rimozione. Non è più il lupo cattivo dei racconti dei nostri nonni a far paura, ma è una realtà che per troppo tempo è stata sottaciuta, scossa di tanto in tanto da fatti clamorosi. Quel lupo cattivo si è trasformato in mostro che vive tra di noi, che agisce con la complicità di chi vede, ma fa finta di non vedere perché sa di essere soggetto di una società che fonda il suo credo su un edonismo spietato e su una miseria nascosta. Quelli che non dicono, vivono per sé. Come fantasmi in una realtà che non li riguarda. Da qui nasce l’omertà di tanta parte della società degli adulti che avanza senza pensiero, diventando consapevole complice del mostro. Su questo terreno, purtroppo, si consolida e diventa evidente il fallimento delle agenzie che presidiano, o meglio dovrebbero presidiare, la crescita di una vera coscienza. Parlo della scuola, della chiesa e della famiglia che diventa il nucleo stesso entro il quale implode la tragedia. Non a caso il dramma della pedofilia, che non può essere archiviato come una malattia mentale, ma è criminalità violenta, s’annida proprio in queste agenzie educative. Sono queste realtà, a mio avviso, venute meno alla loro funzione di consapevolezza nella difesa dal male. E non è un caso che proprio in queste la pedofilia è stata per troppo tempo ignorata, considerata come una grave eccezione rispetto ad una presunta normalità. La scuola non è più, quasi sempre, la fucina del sapere. E’ una fabbrica occupazionale dilaniata tra concorsi e modifiche con scarsi contenuti. L’insegnamento avrebbe il dovere di informare e proteggere i minori dai pericoli a cui vanno incontro. La famiglia non è più il confessionale in cui esporre le criticità di un’età, travolta come è dall’uso di tecnologie che azzera il dialogo. Non c’è poi armonia nel rapporto genitori-figli. Salta l’equilibrio e le fragilità si accrescono. Forse la chiesa, sia pur con ritardo, sta prendendo coscienza di una piaga che nei suoi aspetti più brutali inquina anche la fede. In questa istituzione la linea di papa Francesco è netta. I mercanti vanno cacciati dal tempio. Certo, questa è l’ora dei sociologi. Ci spiegheranno che la famiglia di Chicca era esposta e fragile, inseguita da condanne e reati e che per tutto questo la bimba era poco seguita. Ma anche questo, per quanto da verificare, non serve a giustificare questo orrore che riporta in primo piano il dramma dell’errato rapporto adulti-minori. Perché è qui il problema. Ed è da qui che bisogna ripartire se si vuole veramente contrastare questo fenomeno devastante. Rileggendo i verbali redatti dai magistrati sul caso che ha visto vittima la piccola Fortuna, si deduce che anche la definizione di mostro per chi si è macchiato di questo crimine è poco. Follia omicida, violenza e crudeltà nei comportamenti disegnano un quadro investigativo che sgomenta e supera ogni possibile immaginazione. Per questo, senza invocare un giustizialismo casareccio e vendicativo, occorre riflettere sulle condizioni di vita nelle nostre periferie dove, più che altrove, si nascondono insidie capaci di generare violenza e animalità. Anche questa è la lezione che ci viene dalla drammatica vicenda di Fortuna e degli altri bambini del Parco Verde. Bisogna intervenire. E’ una calamità come un terremoto. Fate presto.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa