La politica gridata

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Il clima di antipolitica, che in questi ultimi anni non accenna a diminuire ed ha dato corpo ad un fenomeno di rivolta popolare interpretato dal successo elettorale di un non partito come il M5S, è il frutto del nuovo modo di fare politica introdotto da Berlusconi con il suo ingresso in campo, dopo la stagione di Mani pulite che cancellò i partiti e la prima repubblica. La personalizzazione dei partiti, l’uso incontrollato dei media e i salotti televisivi, aperti dalle prime ore dell’alba fino a notte inoltrata, hanno concorso, oltremisura, ad influenzare un pubblico teledipendente e di scarse letture cui l’accesso ai network ha fatto credere di aver acquistato una conoscenza giuridico-politica-economica senza, a volte, neanche una minima preparazione di base. Berlusconi ha trattato la politica come un prodotto commerciale ed utilizzata con un marketing appropriato che ne ha radicalmente mutato le forme e, spesso, perfino il contenuto. Il mercato e l’uso dei sondaggi a fini politici hanno fatto il resto, ragione per cui parole mantra come il “teatrino della politica” la “rottamazione”, il “nuovo” contro il “vecchio” il “cambiamento” contro la “conservazione” sono diventati cavalli di battaglia di politici che sanno fare molto meglio gli imbonitori che gestire Istituzioni complesse come lo Stato, le Regioni, le grandi città. Con Renzi, che è un affabulatore abile e spregiudicato, questo nuovo modo di fare politica, ereditato dal predecessore, ha assunto nuovo vigore, ha rinnovato strategie, utilizzato nuovi mezzi informatici che la scienza ha messo a disposizione, influenzando il giudizio politico immediato quasi mai sulle cose fatte ma sulle promesse e su vuote e generiche affermazioni di principi. E’ una perenne campagna elettorale e le azioni del governo (vedasi, da ultimo, la legge di stabilità e finanche le visite di Stato) sono finalizzate alla propaganda, sottraendo tempo prezioso alla cura dello Stato, Non si capisce quando trovi il tempo per dedicarsi alla cura dello Stato. Non è chi non veda, per fare un solo esempio, che la nuova legge di stabilità, licenziata dal Consiglio dei Ministri senza un articolato sul quale si sarebbe dovuto votare, è stato illustrata e magnificata, già dall’uscita dal CDM, con slide preparate tempo prima. Sull’immigrazione che, peraltro, si continua a gestire a livello centralizzato (Governo – Prefetti) senza il coinvolgimento delle istituzioni e popolazioni locali, continua uno stato di emergenza senza alcuna misura strutturale, se non le solite promesse future, lo scaricabarile delle responsabilità e l’ingannevole pubblicità che la politica ha mutuato dal Marketing commerciale. Così sul referendum, la cui campagna elettorale dura già da sei mesi e si sta facendo passare come una battaglia tra il vecchio e il nuovo, tra il cambiamento e il conservatorismo, come se, senza una radicale riforma della Costituzione, non si possa uscire dalla crisi economica, né combattere la burocrazia. Si giudicano gufi, vecchi e bacucchi, dei quali l’Italia non ha più bisogno, quei politici o professori anche emeriti, che evidenziano le criticità della riforma. Il recente duello nel salotto di Mentana tra il premier e il vecchio De Mita ha evidenziato come sia impossibile un qualsiasi dialogo tra chi si sofferma su riflessioni di acuta analisi storico- politica e chi si rifugia in un populismo astuto e, con qualche evidente caduta di stile non consona alla carica istituzionale ricoperta. Invece di un bagno di umiltà, nella tradizione dei vari De Gasperi, Moro, Berlinguer, La Malfa e, più vicini a noi, Prodi, Ciampi, Monti, che avevano alto il senso della Istituzioni, si continua a fare i capi popolo, titillando il popolo del Web più semplice e sprovveduto ed i teledipendenti di più facile presa. Si finisce così per suscitare sentimenti di simpatia e di consenso, nella illusoria considerazione che affidarsi al profeta di turno sia un espediente che in politica funzioni sempre. I profeti, invece, come ci ha insegnato anche la recente esperienza del berlusconismo, non ci hanno mai portato da nessuna parte. Sarebbe importante recuperare cultura e competenza a prescindere dal dato anagrafico. Infine non si riflette mai abbastanza che l’arretramento morale, culturale ed economico del Paese è in parte anche un pò colpa di tutti noi e che senza un controllo ed una partecipazione collettiva non ci tireremo fuori. Il presente, senza la storia del passato, non ha mai futuro!
edito dal Quotidiano del Sud