La solitudine dei leader

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Di Guido Bossa

All’inizio di un anno ricco di appuntamenti elettorali e quindi destinato a vedere intensificarsi il rapporto mediatico fra leader e popolo, si registra l’inspiegabile paradosso di un progressivo isolamento delle principali protagoniste della sfida: per un motivo o per l’altro Elly Schlein e Giorgia Meloni stanno sperimentando una sgradevole sensazione di solitudine nel proprio partito e nella rispettiva coalizione. Si dirà che per il Partito democratico non si tratta di una novità: all’arroccamento del segretario del Nazareno circondato solo dai suoi fedelissimi siamo abituati da tempo. C’è chi se l’è addirittura cercato come a suo tempo Matteo Renzi, chi se l’è visto addosso come Nicola Zingaretti, chi l’ha subìto come Enrico Letta. In questa continuità, però, Elly Schlein rappresenta un caso a parte: il suo isolamento è dovuto alla cifra e alla storia della sua leadership impostasi sull’apparato nella rovente fucina delle primarie quando gli “esterni” l’hanno scelta contro il candidato indicato dagli iscritti. E’ quasi ovvio che i capicorrente che avevano assistito stupefatti alla sua ascesa stiano oggi a vedere come se la cava in uno snodo cruciale; e la decisione da prendere sulle candidature per le europee diventa emblematica a cominciare dall’alternativa se scendere in campo in prima persona o meno. Non c’è da meravigliarsi se c’è chi aspetta solo di vederla azzoppata per poterla poi condizionare se non proprio sostituire. Nel frattempo anche i rapporti con il recalcitrante alleato pentastellato risentono di questa situazione irrisolta: da una parte c’è un leader indiscusso – Giuseppe Conte – dall’altra una segretaria quasi in attesa di conferma. Per Giorgia Meloni la situazione è diversa perché la sua leadership tra i Fratelli d’Italia preesisteva alla vittoria elettorale, mentre la solitudine di questi giorni si accompagna al consenso personale che è in crescita: un paradosso. Eppure, dopo la conferenza stampa di inizio anno abbiano avuto più di una settimana di pesante silenzio, cosa assolutamente insolita tanto più che il partito e il gruppo parlamentare della Camera erano terremotati dagli strascichi del fattaccio di Capodanno che rischia di spalancare una voragine. Le incognite si moltiplicano: se le faide fra dirigenti locali minacciano di andare fuori controllo, episodi come quello dei saluti romani a via Acca Larenzia evocano un passato che non passa; e intanto la coalizione traballa su candidature, spartizione del potere nelle regioni, bilanciamento fra premierato e autonomie. Insomma, nel silenzio imbarazzato di Palazzo Chigi e via della Scrofa vengono a galla i nodi non risolti della natura del melonismo, mentre l’acutizzarsi delle crisi internazionali con la guerra ai confini dell’Europa richiederebbe ben altra compattezza e determinazione. In un anno che vedrà ridisegnato il potere che conta sulle due sponde dell’Atlantico, governo e opposizione non possono concedersi il lusso di una navigazione solitaria.31