Le spine della manovra

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Lo scambio di battute a distanza ravvicinata fra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella suggerisce che quella della manovra economica in gestazione è una partita ancora aperta, dalla quale dipende qualcosa in più di qualche decimale di punto di deficit. Mercoledì scorso il premier ha confidato al “Corriere della Sera” il contenuto di un suo recente colloquio con il commissario europeo Pierre Moscovici che sta rivedendo i conti dell’Italia, nel corso del quale gli avrebbe detto che “la stabilità sociale conta più di quella finanziaria: basta vedere le proteste dei gilet gialli in Francia”. Chissà come l’ha presa l’interlocutore di Giuseppe Conte, geloso come tutti i francesi delle proprie prerogative nazionali; ma non è questo che ci interessa al momento. Piuttosto è significativo notare come, solo poche ore dopo l’indiscrezione rivelata da Conte, il Capo dello Stato italiano abbia affrontato più o meno lo stesso argomento: “E’ evidente – ha detto Mattarella incontrando i giovani magistrati della Corte dei Conti – come senza finanze pubbliche solide e stabili non risulti possibile tutelare i diritti sociali in modo efficace e duraturo, assicurando l’indispensabile criterio dell’equità intergenerazionale”.

La differenza tra i due punti di vista appare evidente. Per Conte la pace sociale viene prima di tutto, e quindi fa bene il governo a programmare un aumento del debito pubblico per dare soddisfazione ad un malessere che peraltro non sembra pronto ad esplodere, almeno non con la virulenza che si è manifestata in Francia. L’indiretta replica del Capo dello Stato ribalta il ragionamento: i diritti sociali, a cominciare da quelli delle classi subalterne, possono essere convenientemente tutelati solo tenendo in ordine i conti dello Stato, come peraltro esige a Costituzione: un ampliamento incontrollato della spesa in deficit potrà forse accontentare qualcuno oggi ma a scapito delle future generazioni, che saranno chiamate a pagare il conto domani.

Trasferito in Europa, nelle sedi nelle quali si stanno esaminando in questi giorni i conti dell’Italia, questo scambio di battute, ancorché indiretto, ci riporta all’essenza della contesa, che appare irriducibile, fra i severi censori di Bruxelles, che hanno dalla loro parte le capitali che contano, e il governo italiano, che qualche giorno fa era sembrato disposto a cedere alle pressioni della Commissione ma oggi pare tornato a difendere con intransigenza le proprie posizioni. Sono le spine di una manovra ancora in gestazione. Subito dopo l’incontro di una settimana fa tra Conte e Juncker c’era stato un rincorrersi di dichiarazioni aperturiste prima di Salvini, poi di Di Maio, non più incollati al tetto del 2,4% del rapporto deficit/Pil, e anzi disponibili a recuperare risorse dagli interventi improduttivi (pensioni e reddito di cittadinanza) per investire in misure di stimolo alla crescita. I tecnici dell’Economia sono stati messi al lavoro per riscrivere le tabelle del bilancio, ma poi tutto si è fermato. Intanto la legge segna il passo in Parlamento, tanto che si parla con insistenza del ricorso alla fiducia per accelerare i tempi di approvazione. Si può fare, ma prima bisognerebbe trovare l’accordo sui contenuti, e l’evidente nervosismo dei Cinque Stelle non facilita una soluzione. Luigi Di Maio sta pagando, suo malgrado, l’eccesso di giustizialismo che ha favorito e accompagnato l’ascesa del Movimento: una nemesi che colpisce lui e la sua famiglia. I suoi ministri lo difendono, ma il palese dissenso del presidente della Camera Fico sul decreto sicurezza (un boccone amaro che i grillini hanno dovuto ingoiare in omaggio a Salvini) inserisce un cuneo preoccupante nella compattezza delle truppe parlamentari. Per riequilibrare la partita con l’alleato-rivale, il vicepremier avrebbe bisogno di un successo d’immagine, ma intanto incespica pure su quella che dovrebbe essere la sua legge-bandiera: vedi l’imbarazzante balletto di dichiarazioni contraddittorie sulla predisposizione della tessera magnetica che dovrebbe garantire, non si sa ancora a chi, quel sussidio statale che secondo il premier Conte innescherà un nuovo miracolo economico, mentre per alcuni banchieri centrali (ultimo il presidente della Fed americana Powell) nel braccio di ferro con la Ue potrebbe addirittura contribuire ad alimentare una “fonte di rischio” per i mercati e l’economia globale.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud