Legge elettorale, ma anche no

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Il dibattito in commissione alla Camera dei deputati sulla legge elettorale si apre nella più grande incertezza politica. Per mesi abbiano assistito a una indecente melina, anzi a un insopportabile surplace condito di impegnative, solenni dichiarazioni. Contraddette subito dopo. O addirittura ritirate. Insomma, solo specchietti per le allodole!. Ora, almeno questi giochini politici non saranno più possibili. E i partiti saranno costretti a scoprire le loro carte. Certo, non c’è molto da essere ottimisti. Non sembra esserci molta volontà di giungere a una intesa reale per varare una legge elettorale capace di assicurare governabilità al Paese e una maggioranza in entrambe le Camere. Al di là delle dichiarazioni di facciata, infatti, non hanno trovato reale accoglimento i pressanti appelli del Presidente della Repubblica, fortemente contrario ad ipotesi di scioglimenti anticipati delle Camere in assenza di adeguate modifiche alle attuali normative, diverse tra Camera e Senato. Si fanno strada, anzi, ipotesi di “aggiramento” della sua volontà, come quella – attribuita a Renzi – di arrivare alla votazione di un testo da parte di uno dei due rami del Parlamento per poi, in caso di non approvazione da parte dell’altro (causa l’incertezza dei numeri della maggioranza al Senato), richiedere un decreto che possa aprire la fase elettorale. Intorno alla legge elettorale si sta giocando – malissimo – una partita di portata strategica. Ci sarebbe stato bisogno di tutto il tempo che va alla fine della legislatura. Per smussare asperità. Trovare mediazioni e formulazioni idonee. E varare una legge possibilmente condivisa in maniera larga, che desse comunque al Paese la sensazione di un sistema elettoral – democratico capace di resistere, sedare le fibrillazioni, evitare pericolose tentazioni e semplificazioni. Si è preferita invece, soprattutto da parte di Renzi, la disinvolta scorciatoia degli aggiustamenti minimi, tenendo ben aperta la possibile finestra elettorale prima dell’inizio della sessione di bilancio. Una accelerazione assecondata dal M5S e dalla Lega, desiderosi di far fruttare elettoralmente le rendite maturate. Così però, ogni prospettiva di stabilizzazione del sistema nel lungo periodo è stata abbandonata. Durante la cosiddetta prima Repubblica, alla mutevolezza dei governi ha fatto riscontro la permanenza del medesimo sistema elettorale. Ora, si parla di modifiche il cui unico scopo è facilitare solo la vittoria nelle prossime competizioni! Di tutto questo, a giudicare dai comportamenti, non sembra esservi adeguata consapevolezza. Si sta affrontando con spregiudicatezza un gioco che potrebbe diventare pericoloso. E questo riguarda soprattutto l’ ambito delle forze più tradizionali, quelle cosiddette “di sistema”. A cominciare dal Pd. Esso, soprattutto dopo la scontata riconferma di Renzi alla sua guida, non sembra avere altra idea o altro orizzonte strategico che non il suo ritorno a palazzo Chigi, nonostante proprio su questa prospettiva incomba come uno spettro una possibile vittoria del M5S. Con i vari diktat e veti a sinistra, che ne accrescono le difficoltà su quel fronte, il Pd sembra insistere ancora in direzione di un futuro asse con Verdini e Berlusconi. Resta da vedere, tuttavia, quale atteggiamento assumeranno, di fronte a tale eventualità dichiarata, quelle parti di elettorato ancora legate all’idea di un Pd come forza di sinistra, sia pure moderata. In questo scenario, al di là dei fuochi d’artificio che non mancheranno, una cosa è certa: il Paese, nelle condizioni in cui si trova, non ha bisogno di un altro periodo di fibrillazione politica come le elezioni anticipate!
edito dal Quotidiano del Sud