L’Italia necessita di statisti

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Di Matteo Galasso

In questi giorni di crisi del Governo – solo ieri superata – e, più in generale, in quest’ultimo anno caratterizzato da un’imponente crisi economica e sociale, in molti si sono interrogati sul perché la politica di oggi pecchi di “Statisti”.

Partiamo dalla definizione di Statista, con la quale si indica un politico che – a differenza di altri – sia disposto a servire il proprio Paese con abnegazione, anteponendo, in ogni circostanza, agli interessi personali e a quelli del proprio partito politico, il bene del Paese, nonostante quest’ultimo possa costargli la credibilità personale. È sbagliato il concetto ripetuto spesso nell’ultimo periodo: non basta essere disposti ad abbandonare il proprio ruolo istituzionale, definito spregiativamente “poltrona”, per essere considerati dei veri Statisti. Più che altro, per Statista si intende una personalità disposta a perdere la fiducia ed il voto delle persone pur di fare il bene del Paese, cercando di servirlo con il massimo dell’impegno e senza vergognarsi di essere seduto, appunto, su quella “poltrona”.

Nella storia classica e occidentale, possiamo investire con questo titolo gli esponenti politici ateniesi, come Temistocle, che hanno difeso la propria pòlis e tutta la Grecia dalle invasioni persiane, fino a quelli che hanno poi arricchito culturalmente e rafforzato economica mentela loro città, come Pericle. Gli Statisti che si sono susseguiti nel nostro Paese, nel secondo dopoguerra, un periodo in cui l’onestà politica era ancora più compromessa di quella attuale, sono condivisi dalla maggior parte dell’opinione pubblica, che sottolinea il loro rigore morale e politico inconfrontabile rispetto a quello dei politici odierni. Non a caso sentiamo spesso parlare di alcune personalità che hanno migliorato il nostro Paese da un punto di vista sociale ed economico, come Alcide De Gasperi o Sandro Pertini.

Le caratteristica principale che contraddistingue uno Statista dai “normali” uomini politici è la preparazione per saper governare, aggiunta all’esperienza politica, grazie alla quale si apprende l’arte di amministrare, la volontà di impegnarsi realmente per la cosa pubblica, prendendo sempre le decisioni più giuste per il Paese, non tutelando i propri interessi ed essendo disposti delle volte a danneggiare la propria figura politica pur di fare la cosa giusta.

Dedicare la propria giornata lavorando per il parlamento e facendo campagna elettorale solo prima delle elezioni è ormai un’abitudine venuta meno con il sopravvento dei social network, grazie ai quali i politici riescono a comunicare le proprie intenzioni con slogan quotidiani: talvolta sembra che passino la maggior parte del proprio tempo a curare la propria impronta mediatica più che ad occuparsi di governare. Era come se prima si votasse per le idee e per i programmi elettorali più che per le persone, mentre oggi – non essendoci più dei reali programmi elettorali ma solo ripetuti slogan –, si vota per il candidato più simpatico e che meglio sappia utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione.

La classe dirigente non è equiparabile a quella del passato, anche perché, invece di collaborare tra loro, specialmente in momenti già di difficoltà per il Paese, le fazioni politiche opposte tendono a criticarsi tra loro, senza saper riconoscere i successi gli uni degli altri, senza mai fare un passo indietro. Allo stesso tempo, alcuni esponenti, pur di mantenere il proprio ruolo istituzionale, sono disposti a scendere a compromessi con le altre forze – come abbiamo visto ieri con la scelta dei nuovi ministri – a tal punto da ribaltare le idee sulle quali avevano fondato la propria azione politica e per le quali erano stati eletti.

La politica viene interpretata non più come l’arte di governare, ma come quella di fare i propri interessi, perdendo ormai la credibilità da parte della maggior parte della popolazione: quasi il 40% degli aventi diritto, infatti, da anni non esprime il proprio voto nelle urne. Degli altri, una parte vota per conoscenti o amici, un’altra semplicemente sceglie quello che apparentemente sia il candidato meno dannoso per le comunità. Senza considerare che i giovani sono per la maggior parte disinteressati alla politica.

Il sistema continua a tagliare fuori chi ha potenzialità reali, dando spazio a personalità che non non hanno alcuna conoscenza dell’amministrazione statale e proprio per questo spesso, con la propria presenza, declassano i luoghi delle istituzioni da templi della democrazia a stadi o circhi. Chi sceglie di fare politica e, quindi, di occuparsi della cosa pubblica non dovrebbe farsi eleggere a rappresentante del popolo, per poi scegliere di rappresentare solo gli interessi personali o di partito. Questi finti politici, che –un po’ come coloro che dal Medioevo al secolo scorso entravano in seminario per trovare un “impiego” stabile nel sacerdozio che gli garantisse benessere e rispetto da parte della propria comunità – sono privi di una vera e propria “vocazione” per svolgere quello che è un delicatissimo e allo stesso tempo importantissimo compito istituzionale.

Per certi versi non si vota più l’esponente politico più competente, ma, semplicemente colui il quale riesce ad assecondare le recondite frustrazioni dei cittadini, con affermazioni in linea con ciò che l’elettorato vuole sentirsi dire.

Tutto ciò si può attribuire a due cause: un malessere di fondo, che accompagna tutti coloro i quali non vogliano cercare le soluzioni per un determinato problema, ma solo accentuare la sua presenza, e un nuovo stile di comunicazione della classe politica con l’elettorato.

I social network hanno cambiato radicalmente  gli aspetti della comunicazione. Infatti, mentre prima non si potevano leggere le dichiarazioni di un politico, se non sulla carta stampata, oggi tutti possono sapere in tempo reale quale sia la sua opinione. Avere la popolazione sotto tiro attraverso i social, i quali, in pochi secondi diffondono un messaggio a decine di migliaia di persone, ha favorito significativamente tutti coloro che volessero lanciarsi in politica, permettendo a persone senza alcuna esperienza lavorativa precedente di ritrovarsi a svolgere un ruolo istituzionale di un certo livello dal nulla e senza averne le competenze necessarie.

Ciò che più preoccupa è però l’indifferenza dei cittadini, i quali, sfiniti da questo modo di fare politica, promettendo tutto e poi non mantenendo alcuna promessa, vanno oltre l’indignazione e la rabbia: si disinteressano piuttosto al dibattito. Tutto ciò a causa dell’inconsapevolezza e della perdita di cognizione rispetto alle esigenze dei cittadini, prevaricata da una eccessiva voglia di visibilità e potere.

Il periodo che stiamo attraversando è fondamentale per la nostra storia futura. Approfittando dei cambiamenti che stiamo vivendo, potremmo cogliere l’occasione per rinnovare sotto molti aspetti la classe politica del nostro Paese. I giovani potrebbero riavvicinarsi alle istituzioni, magari fornendo loro un’educazione civica pertinente partendo dalle scuole primarie. Ciò garantirebbe loro una sensibilità politico-istituzionale che tutti dovrebbero avere, per poi lasciargli spazio, un giorno, creando una nuova classe dirigente fatta da persone competenti, votate per anteporre il bene dello Stato al proprio. Solo da qui potrà ripartire e rinascere il Paese: eleggere dei rappresentanti seri, che abbiano comprovate competenze in merito, senza essere affascinati da slogan e immagini, dietro ai quali si nasconde chi non dispone proposte concrete, né un interesse reale a servire lo Stato e i propri cittadini.