Lottare per il bene comune

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Di Gianni Festa

La ricorrenza dei 43 anni dal terremoto dell’Ottanta cade in giorni tristi di Femminicidi e Guerre. Lo scenario è questo: perdita di valori, qualunquismo tout court, sete di potere, irrazionale senso del possesso cosicché le persone si trovano a vivere tra angoscia, paura e incertezza sul futuro. Il dibattito in corso, fatte alcune interessanti eccezioni, è oggettivamente didascalico, di mera e confusa narrazione, datato e spesso inconcludente. Storicizza gli eventi, ma non va oltre. Cominciamo dal post terremoto. E’ stato vissuto come spartiacque tra il prima e il dopo. A 43 anni di distanza dal 23 novembre dell’80 il bilancio si presenta con tante contraddizioni. La ricostruzione delle case è quasi completata. Non dappertutto: ci sono, ed è vergognoso, ancora tante famiglie che occupano i prefabbricati. Non mancano opere faraoniche che rappresentano lo spreco di danaro pubblico. Si è registrata l’ascesa e il crollo degli studi tecnici che hanno fatto fortuna nella prima fase della ricostruzione, per poi fallire. E’ fallito il piano industriale progettato e di conseguenza l’occupazione promessa ha subito un notevole ridimensionamento. Si è acuita la crisi delle zone interne con lo spopolamento soprattutto da parte dei giovani. L’agricoltura su cui aveva puntato Manlio Rossi Doria per una rinascita del territorio ha conosciuto la peggiore stagione con il trascorrere degli anni. Alla lotta per la conquista della terra del primo dopoguerra si è sostituito il lento ma inesorabile abbandono. Non migliore fortuna hanno avuto i servizi a sostegno delle industrie. Le aree industriali dell’Alta Irpinia hanno l’aspetto di praterie desolate. Ci si aspettava molto di più. La questione morale quasi del tutto assente e gli sprechi e le clientele hanno spezzato un sogno possibile. Così come la terra madre è ferita e vittima così lo sono troppe donne strappate al mondo dal femminicidio. Non solo di Giulia la cui atroce fine sta mobilitando le coscienze di un intero Paese. Uccidere le donne non è più solo un fenomeno saltuario, è una grande emergenza nazionale. Non serve la retorica per fermare il sangue che scorre ormai a fiumi. Preoccupa in particolare l’età dei giovani che non hanno freni, che giocano con la vita altrui nutrendosi di una informazione social senza controlli. In genere si attribuisce il fallimento di una generazione alla responsabilità degli adulti. Parole che non aiutano, anzi. Ci vuole molto di più, servono mezzi per fronteggiare questa grave emergenza. Famiglia, scuola, società civile e governo non possono alzare bandiera bianca. Discutere sul patriarcato è cosa buona e giusta, ma non risolve il problema. I femminicidi sono frutto di una catastrofe socio-culturale in cui principi etici sono collassati: è come tale va gestito, con grande consapevolezza della complessità che esprime. L’altro non è mai proprietà di qualcuno ma alterità da rispettare: questo è il principio per il quale combattere. E allora mobilitazione sì ben sapendo che essa deve produrre una presa di coscienza della società intesa come ogni persona in carne ed ossa e non come astrazione. Infine, la guerra. Le tante guerre che insanguinano il pianeta. Sono la risposta all’insoddisfazione di chi nutre ambizioni di potere. In Ucraina come in Medio Oriente come in Sudan e in tante altre realtà del pianeta giovani vite sono costrette a consumare le strade della morte. Se è vero che non esistono guerre giuste, è altrettando fuori discussione che chi ordina di impugnare le armi lo fa solo per soddisfare le proprie ambizioni. Concludendo: le tre grandi emergenze che qui abbiamo descritto, sia pure in estrema sintesi, sono la risposta a un’assenza di valori e di un’etica che si è dispersa lungo il cammino dei tempi. Il filo conduttore per recuperare il bene comune deve essere fondato sulla solidarietà e l’umiltà, schierandosi sempre dalla parte degli ultimi.