L’unica terapia è la solidarietà

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Ogni giorno che passa, nel corso della nostra obbligata quarantena, avvertiamo consapevolezze nuove o aumenta la percezione del senso nuovo di alcune nostre vecchie valutazioni, spesso opacizzate dalla fretta del nostro vivere quotidiano. Una di queste consapevolezze, rivedute e corrette, è il grande valore della solidarietà, sempre auspicata ma mai concretamente percepita a dimensione globale. Nel corso delle settimane che ci affliggono come comunità umana, con gli effetti paurosi della pandemia in atto la solidarietà, come l’esplosione di una polveriera, ha catalizzato l’attenzione e la considerazione di tutti, anche di quelli nel cui vocabolario il termine non era riportato. Solidarietà sulla terra (medici, infermieri, volontari, sacerdoti, giovani ed adulti, aziende, amministratori e governanti e tanti altri), nei cieli, ove gli elicotteri continuamente trasportano nei vari ospedali materiale sanitario ed aerei, che fanno pervenire aiuti spontanei da altre nazioni; solidarietà umile e commovente in mare, da parte dei poveri pescatori che offrono il pesce pescato nelle ore notturne alle famiglie bisognose di derrate alimentari. Davvero cosmica questa solidarietà! Tante volte invocata, da governi e patti internazionali, da ambasciatori e capi di stato, ma mai così concretamente e diffusamente testimoniata, in un momento in cui risulta anche difficile testimoniarla, perché un nemico terribile è sempre pronto ad impossessarsi della nostra salute. Cos’è davvero, allora, questa solidarietà? Cos’è questo avvinarci spirituale diffuso nel momento in cui viene sancito, ripetuto e raccomandato il distanziamento sociale? Cos’è questo bisogno senza limite, avvertito in un periodo di solitudine coatta e di sepolture atipiche senza un fiore o una lacrima dei familiari? Tra le tante risposte possibili, probabilmente una appare la più convincente: la solidarietà è un grande valore, portatore, in concreto, di premura, di calore umano, di accompagnamento a distanza, di partecipazione senza preavviso. In sostanza, attualmente, sembra essere l’unica terapia che attenua e cura il grande morbo che ci affligge. È una terapia il cui periodo di sperimentazione, attraverso i secoli della storia umana, non ha bisogno di validazione scientifica da parte degli organismi nazionali o internazionali preposti. È una terapia dagli effetti immediati che ci fa riscoprire di non essere soli o perduti nella tempesta del male che ci assale. È una terapia che richiama l’attenzione persino di molti intellettuali laici degli ultimi decenni che si sono interessati della solidarietà con le implicanze di pensiero delle cose ultime. Penso, fra i primi, a Norberto Bobbio che già nel 1995 a Torino, in un intervento sull’aldilà, avvertiva l’esistenza del padre morto, anche senza sapere dove, ricordando però i suoi impegni di solidarietà solo allora percepiti, come valore che il tempo non cancella. L’idea di un orizzonte apocalittico, secondo una prospettiva non religiosa, ma comunque solidale, è riportata, in un suo recente volume, dal filosofo e scienziato francese Pierre-Henry Castel. Attualmente sono gli scenari del cambiamento climatico e della catastrofe planetaria del coronavirus a farci percepire il bisogno profondo di solidarietà per una comune azione di contrasto ai mali ed ai pericoli globali. L’angoscia planetaria, un po’ attenuata dopo la caduta del muro di Berlino, ritorna ora a spaventare tutti, credenti e non credenti, scienziati e politici, intellettuali e gente comune. La solidarietà globale di questi giorni sostiene la speranza nella sua visione cristiana. Ma quale bene può sostenere la speranza? Durante questo propizio periodo quaresimale dobbiamo avvertire profondamente la consapevolezza che la resurrezione di Cristo ha vinto la morte, coronando di successo la nostra speranza – che in Lui è la certezza – che la morte non vanifica la speranza che è in noi. Questa consapevolezza ci dovrà far vivere un soprassalto di umanità, non occasionale, farci ritrovare quelle qualità morali, quelle virtù come la sincerità o la compassione che ci contraddistinguono come esseri umani. È un messaggio che dobbiamo sostenere, senza cedere alla mitezza, mostrando forza e fierezza. Combattendo, dunque, per il bene comune. D’altronde nemmeno Camus e Nietzsche furono disposti a rassegnarsi dinanzi all’ingiustizia ed alla sofferenza, dinanzi alle “pesti” vecchie e nuove; pur non essendo cristiani non negarono il valore della solidarietà.

di Gerardo Salvatore