Una consultazione parziale e limitata non poteva essere l’occasione per sperimentare il "partito della nazione", ma il suo solo fantasma ha sortito l’effetto di coagulare, per reazione, una coalizione traversale di tutti gli oppositori di Matteo Renzi, compresa parte della minoranza interna del Pd, che, nelle grandi città, ha messo in difficoltà il partito democratico. Il Pd renziano ha potuto contare solo sulle proprie forze: non sui verdiniani né sulla nascita di un centro da coalizzare. Il partito di Alfano ha quasi ovunque rinunciato a presentare il suo simbolo. Fra una settimana l’esito dei ballottaggi, che sono una partita tutta nuova, potrà cambiare l’analisi e sovvertire alcuni dei risultati, fin qui negativi; ma certamente per Renzi, in vista del decisivo referendum di ottobre, si pone il problema delle alleanze e prima ancora di ricucire con Bersani, Cuperlo e Speranza. Insomma, le elezioni amministrative hanno aperto un bivio davanti al governo e davanti al Pd, e ora il presidente del Consiglio e segretario del partito di maggioranza dovrà scegliere quale strada percorrere. Le elezioni di domenica scorsa, tuttavia, hanno anche sbarrato un’altra delle possibili alternative alla direzione impressa al percorso dei democratici. I numerosi critici di Matteo Renzi hanno denunciato e non da oggi la scelta preferenziale impressa dal leader in direzione del centro politico e sociale, trascurando se non proprio recidendo i tradizionali legami con la sinistra, rappresentata dai sindacati nella società e dai partitini della sinistra estrema in parlamento e nelle assemblee regionali e locali, oltre che naturalmente dai Cinque Stelle che alcuni si ostinano a considerare, contro ogni evidenza, una formazione di sinistra. Secondo questa versione dei fatti, Renzi avrebbe volontariamente scaricato l’eredità dell’Ulivo tradendone principi e metodo di governo, a favore di un “partito della nazione”, indefinibile per contenuti ideologici e programmatici. A questa torsione ideale, a questo “tradimento” gli elettori democratici si sarebbero ribellati e il risultato elettorale del 5 giugno sarebbe il primo tempo della sconfitta di un progetto politico estraneo alla tradizione della sinistra italiana. La più nobile e convincente formulazione di questa analisi è stata scritta da Ezio Mauro nell’editoriale di “Repubblica” del 7 giugno: “Il corpo stanco del partito è andato a votare, mobilitando ciò che resta dell’apparato…ma l’anima è rimasta a casa, ed è difficile ritrovarla dopo averla smarrita per noncuranza”. Bella immagine e anche convincente descrizione dello stato attuale del partito democratico: Mauro non nasconde i limiti della sinistra interna del Pd che, “se possibile ha il respiro ancora più corto” non avendo un’alternativa, un leader e soprattutto “una proposta politica concorrente, in particolare sulle grandi questioni di cultura politica su cui Renzi è più debole”. Non si potrebbe dir meglio; ma il discorso va allargato anche oltre il Pd, considerando il tracollo elettorale delle formazioni, dei partitini frutto di scissioni “a sinistra” del Pd o preesistenti all’ascesa di Renzi al Nazareno. I vari Fassina a Roma, Airaudo a Torino, Basilio Rizzo a Milano; i candidati dei Verdi un po’ in tutta Italia sono stati severamente puniti dagli elettori, che li hanno giudicati ancor meno credibili dei candidati piddini. In questo caso, insomma, sia il corpo che l’anima degli elettori sono rimasti a casa. Anche analisi complesse e suggestive che chiamano in causa il “tradimento” renziano della tradizione “ulivista” o “progressista” del nostro paese, ricalcano schemi interpretativi novecenteschi che sono del tutto estranei alla cultura politica attuale, o semplicemente ai concreti interessi che muovono le persone che oggi (e non vent’anni fa) vanno o non vanno al seggio elettorale. Se a sinistra di un Pd sia pure erroneamente troppo attento al centro dello spettro politico e sociale, non si condensano aree di consenso tali da indurre a pensare che un riorientamento verso sinistra consentirebbe di recuperare voti “in uscita”, i critici interni ed esterni della linea del segretario dovrebbero avere seri motivi di riflessione. Insomma, lo scontro elettorale e politico non si materializza più lungo l’asse destra/sinistra, ma sulla capacità o meno di dare risposte convincenti alle domande sempre meno intrise di ideologismi e sempre più cariche di concrete speranze che grandi segmenti sociali – i giovani e le donne – rivolgono alla politica senza ottenere, finora risposte convincenti.
edito dal Quotidiano del Sud