Memoria come monito e difesa

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Di Gianni Festa

“Nonno che cos’è la Shoah? Il maestro oggi a scuola ha detto che durante la seconda guerra mondiale furono bruciati nei forni crematori centinaia di bambini dai soldati nazisti”: e la domanda prosegue con gli occhi del nipote segnati dalla paura. Il maestro, sia pure con qualche attimo di esitazione, sollecita la sua memoria e racconta alcune pagine del diario di Anna Frank. E’ stato detto che, per quanto si voglia valutare con pessimismo la storia mondiale più recente, per quanto efferate possano essere le violenze e le guerre in corso, la prima metà del secolo scorso manterrebbe il triste primato della tragedia umana, nonostante i gravi conflitti che insanguinano la Palestina dopo l’attentato di Hamas a Israele, Ucraina e Yemen e altri stati del pianeta. La crudeltà, l’orrore dei campi di sterminio nazisti rappresentano il collasso dell’umanità, il male assoluto, e noi abbiamo il dovere di non dimenticare. La memoria dell’orrore di cui è capace l’uomo va fortemente coltivata altrimenti, sia per la scomparsa degli ultimi testimoni, sia per il tempo che ci separa dalla Shoah e che ne sfuma i contorni e l’impatto emotivo, essa si indebolisce fino a diventare un mero capitolo da conservare nei testi di storia (con la speranza che qualcuno li apra). Per entrare nella carne cruda dell’Olocausto, bisogna abbandonare la retorica e approfondire con lucidità di pensiero e di animo ciò che spinge l’umanità oltre i confini di se stessa ovvero nella disumanità. Il 27 gennaio 1945 si aprirono i cancelli di Auschwitz. Ai soldati che entrarono nell’immenso campo di concentramento si spalancò davanti l’orrore. Per non dimenticare quell’immane tragedia, i sei milioni di ebrei, zingari, portatori di handicap, omosessuali sterminati dai lavori forzati, dal freddo, dalle camere a gas, il Parlamento italiano, nel 2000, rispondendo a una direttiva dell’Onu, approvò la proposta del Giorno della Memoria con l’obiettivo di far conoscere la storia e i suoi crimini perché, si disse allora, non si ripetessero più. Purtroppo, non è sempre stato così. La sete di potere, lo sfrenato individualismo, il tempo che passa e rende flebile il ricordo, una inarrestabile crisi di valori hanno fatto sì che altre tragedie insanguinassero il mondo, generando morte e gettando nello sconforto altri milioni di persone sempre più disorientate di fronte ai massacri contemporanei. Oggi, 27 gennaio 2024, si celebra Il Giorno della Memoria mentre altre atrocità insanguinano il pianeta. E la domanda non può essere che una: perché quella tragica lezione è stata così velocemente rimossa? In Palestina si contano oltre 25mila morti di cui il 70 per cento donne e bambini, con un accanimento contro i civili che non di guerra induce a parlare ma di nuovo olocausto. Per questo il governo sudafricano ha chiesto che Israele venga processato per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia. E chi riflette almeno un minimo sulle dinamiche della storia non può non chiedersi come e perché proprio i vertici politici di quel popolo che ha subito la Shoah e che il regime nazista voleva sterminare, oggi si macchi di tali insostenibili crimini per cui tutte le Ong che operano nel settore parlano di catastrofe umanitaria? Ci sono, inoltre, più di due milioni di palestinesi in fuga che vivono in condizioni estreme, ora esposti anche alle epidemie. E ancora una domanda urgente s’impone: che fine ha fatto la diplomazia internazionale che ha come sua missione quella di risolvere i conflitti in maniera alternativa alla guerra? E perché restano inascoltati gli appelli di papa Francesco e altri pochi che chiedono la cessazione dei conflitti? Per quanto ancora si può restare indifferenti? L’Europa è insanguinata dalla guerra in Ucraina a due ore d’aereo da casa nostra: davvero l’umanità ha deciso di piegarsi alla volontà dell’industria delle armi? Il Giorno della memoria generi un reale cambio di passo ai nostri giorni: si può e si deve fare.