Natale e Dumitru

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Dumitru aveva 45 anni. Era giunto in città da terre assai lontane. Con una speranza nel cuore: mettere da parte un po’ di danaro e tornare alle sue radici, in Romania. L’emarginazione lo aveva costretto a vivere in una fatiscente roulotte, in un quartiere tosto della città: Quattrograne. In quella gelida notte di qualche giorno fa, vinto dal freddo, Dumitru aveva acceso un fuoco per riscaldarsi. Il suo corpo, all’alba della mattina seguente, lo trovò senza più vita un pastore che gli era amico e che Dumitru aiutava nel pascolo del gregge. Solo di mattina. Perché nei suoi pomeriggi avellinesi sbarcava il lunario facendo lavori saltuari da manovale. Povero caro fratello, che il Regno dei cieli ti sia meno ingrato. E’ questa l’altra faccia di un Natale vissuto all’insegna del tutto e subito, mentre strade, balconi e alberelli emanano luccichii natalizi e nei negozi c’è ressa per i regali. La storia di Dumitru mi è tornata in mente viaggiando nelle viuzze di questa città dolente, in cui i valori comunitari vengono soppiantati dalla tristezza del fare egoistico. Sì, proprio così. Fare solo per sé, non per gli altri. Così il Natale, evento di fede e di cristianità, rischia di diventare effimera evasione e non occasione di riflessione. Che di questa ci sia grande bisogno, lo si evince dalla lettura dei fatti che scandiscono i tempi della nostra realtà. Nella quale non solo il fenomeno migratorio viene ridotto a fastidio e non, come dovrebbe essere, considerato come una risorsa, e le vicende della cronaca ci consegnano profonde lacerazioni e infinite tensioni che allontanano dal bene comune. Penso a questa Regione mai nata, che dal napolicentrismo sta passando al salernocentrismo, ignorando la realtà delle zone interne a cui il presidente De Luca, in campagna elettorale, aveva promesso mari e monti. Già, Vincenzo De Luca, il tribuno del vecchio, colui che pur di accomodarsi sullo scranno più alto del territorio campano, si è alleato, in una situazione giudiziaria non definita, con poteri inquinati e senza regole. Un presidente che prende ordini da chi ha sete di vendetta e si comporta da giustizialista, ignorando ogni principio etico. Che non sopporta la dialettica democratica e non avendo neppure il carisma di Masaniello, distribuisce offese a destra e a manca. Penso alla politica, al Pd irpino. Alla vergognosa e inconcludente battaglia muscolare tra un segretario che resiste, inseguendo logiche di potere e rinunciando alla propria dignità, e ai suoi oppositori, incapaci di tessere strategie e che, sebbene moralmente sconfitti, si trasformano in questuanti pur di gestire stracci di presenza. Un partito che, per consenso, pur risultando essere quello che ha maggiore responsabilità di governo in città e in provincia, assume comportamenti irresponsabili nei confronti delle proprie comunità. Di fronte a questo spettacolo è poi inutile chiedersi perché le persone si allontanino dalla politica, giudicandola come il peggiore dei mali. Penso alla nostra Irpinia, al suo inseguire lo sviluppo senza mai raggiungerlo, mentre imprenditori improvvisati mandano sul lastrico centinaia di operai. Penso ai forestali, costretti ad ipotecarsi anche l’anima, per responsabilità di una classe dirigente che illude con parole e promesse. Penso ad Avellino. A questa città martoriata. Il cui sindaco si diletta a comporre, di tanto in tanto, nuove squadre di assessori. Come se fosse un incallito giocatore di dama. Egli è prigioniero di un partito lacerato, ma è costretto a schierarsi, se vuole continuare ad ricoprire la carica di primo cittadino. E’ trascorso quasi un mese dall’ultima crisi, la terza, ma allo stato non si intravede nessun intervento di ricomposizione di una squadra che si spera possa essere di alto livello professionale, competente e, comunque, proiettata a recuperare gli irresponsabili ritardi che si sono sin qui registrati. Penso a tutto questo e ad altro ancora, immaginando che la nascita del Redentore possa essere di auspicio per l’avvento di una nuova classe dirigente che sappia dare risposte ai bisogni, superando egoismo, individualismo e indifferenza che sono un cancro della convivenza civile. E’ contro questo che bisogna armarsi di buona volontà, mettere in campo tutti quei valori e quelle risorse ideali che man mano si sono polverizzate, esponendo la comunità a nuove barbarie. Se tutto tornasse al proprio posto, se ciò che facciamo verrà indirizzato al bene comune, allora anche la ritualità della festa assumerà un significato diverso. Non c’è cosa più utile della sincerità, dell’umiltà, della capacità di guardarsi intorno con rispetto dell’altro. Perché sostenere la vita di chi è in difficoltà equivale a sostenere la propria, anche se il giro sembra ed è più lungo. Il bene comune non è irraggiungibile se quotidianamente si compiono azioni verso di esso. Bisogna difendere il nostro senso di comunità con il dialogo, superando le asperità che la vita a volte ci impone. Tra qualche giorno sarà Natale. Viviamolo senza conformismo e ipocrisie. Diamo un senso profondo a questo evento straordinario, iniziato al freddo e al gelo di una capanna che non era diversa dalla roulotte di Dumitru. Anche Gesù era un immigrato. Solo in questo modo tutti insieme potremo onorare la memoria dei tanti Dumitru, scomparsi per terra e per mare, adulti e bambini, in un questo anno crudele che sta per finire.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa