O riforma o morte

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La campagna elettorale per il referendum costituzionale che si svolgerà ad ottobre è iniziata con grande anticipo, non appena il disegno di legge Renzi/ Boschi ha completato il suo percorso parlamentare. Da allora non passa giorno che il Presidente del Consiglio, quale che sia l’oc – casione pubblica in cui compare, non lanci messaggi televisivi decantando in termini ultimativi le meraviglie della riforma e minacciando sfracelli se la riforma non venisse approvata, compresa la sua auto immolazione. Come se non bastasse, l’altro giorno il Ministro Boschi ha annunciato trionfale che la riforma determinerà una crescita economica di 10 miliardi per i prossimi 10 anni. Nel frattempo sono partiti appelli ed interviste di politologi, costituzionalisti ed intellettuali vari in carriera che ci spiegano che, anche se la riforma presenta qualche difetto, bisogna comunque approvarla perché questa è l’ultima occasione per salvare il nostro paese. A questo punto dobbiamo chiederci il perché di questa drammatizzazione. Ha osservato Raniero La Valle: “E come se da questi nuovi cinquanta articoli della Costituzione dipendesse il destino della terra, il destino degli italiani e naturalmente il destino del presidente del Consiglio. C’è la mitizzazione di questo evento. Non era mai successo, neanche quando la Costituzione fu scritta, che le alternative del dettato costituzionale venissero sacralizzate, presentate come irrinunciabili dall’una o dall’altra parte, benché i costituenti non fossero certo agnostici ma cattolici o comunisti o socialisti o liberali. Ma ora l’idolo è saltato fuori e non nel campo di quanti difendono la Costituzione del ’48 ma nel campo di quelli che la vogliono rottamare. L’altare all’idolo è la rottamazione stessa. Non ci sarebbe cosa più importante di questa: ce lo chiede la gente – dicono – ce lo chiedono i mercati, ce lo chiede l’Europa, basta un Sì e poi l’Italia riparte e a questo supremo ideale tutto deve essere sacrificato, non solo i duecento senatori, non solo il Senato, non solo il pluralismo della rappresentanza immolato sull’altare dell’Itali – cum, ma la stessa carriera politica del riformatore, il suo destino politico e quello della sua squadra. Se non si vince, a ottobre si va via. Il sacrificio sarà compiuto. E poi, sottinteso, verrà la notte”. Come si spiega questa drammatizzazione? In realtà il merito di questa riforma – secon – do la propaganda del si – è che, per la prima volta, la politica taglia se stessa, cancellando 315 senatori eletti dal popolo italiano, sostituendoli con 95 senatori part-time nominati dai Consigli Regionali (più 5 nominati dal Presidente della Repubblica), pagati dagli enti di appartenenza, col risparmio di qualche milione; di aver soppresso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, di cui nessuno più si ricordava, e di aver tolto le Province dalla Costituzione dopo che la legge Del Rio aveva tolto agli elettori il diritto di eleggere gli organi delle Province; di aver consentito alle Regioni di nominare dei senatori, dopo averle spogliate di poteri tipicamente regionali come il controllo del territorio. In effetti non esiste una relazione logica fra le tanto decantate virtù della riforma e le tanto deprecate conseguenze della sua eventuale bocciatura per cui la causa di questa assolutizzazione della riforma risiede da qualche altra parte. Evidentemente la posta in gioco è un’altra, non può essere il risparmio di qualche milione né tantomeno il taglio di qualche poltrona. Qui c’è di mezzo qualcosa che attiene alla qualità della democrazia. Quello che viene in gioco è l’arresto del ciclo della democrazia costituzionale inaugurato nel ‘900, il ritorno a statuti di tipo autoritario, dove i poteri economici non siano più vincolati dalle regole dello Stato di diritto ed i mercati non più turbati dalla contestazione delle utopie politiche, insomma l’organiz – zazione dei poteri pubblici nella versione più confacente ai bisogni dei poteri privati sovranazionali che guidano la globalizzazione. Riusciranno i nostri eroi a spostare indietro l’orologio della storia? Al popolo italiano l’ardua risposta con il referendum. Domenico Gallo
edito dal Quotidiano del Sud