Pandemia e regionalismo

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E’ vero, quella che stiamo attraversando è una crisi senza precedenti. Lo ha ben detto il Governatore della Banca d’Italia, Visco, nella sua recente relazione al Paese. Le sue previsioni per il futuro, inoltre, sono decisamente preoccupanti. In questo clima si dovranno svolgere le regionali per l’elezione diretta dei presidenti e dei consigli. Questo appuntamento, che alcuni vorrebbero consumare a luglio, altri tra settembre-ottobre, a me sembra, rappresenti una grande opportunità per una vera ripartenza del Paese. Nel senso che il coronavirus, pur tra tanti lutti, paure, perdite di posti di lavoro, aumento della povertà, ha messo in evidenza la grave crisi delle istituzioni e i conflitti tra Governo, Regioni e amministrazioni locali. Da qui bisogna ripartire per una generale riforma che dia certezze al cittadino. Le Regioni, in particolare, hanno mezzo secolo di vita. L’obiettivo per cui erano nate doveva riguardare la programmazione del territorio, il riequilibrio tra zone povere e aree metropolitane. Un ridisegno della realtà per migliorare le condizioni di vita delle comunità. Purtroppo così non è stato. Di programmazione si è visto poco, di gestione tanto. In particolare nel Mezzogiorno dove sperperi e agire della malavita hanno fatto il resto. Tutti i progetti immaginati per l’autonomia differenziata, il federalismo solidale, finalizzati all’unità del Paese sono falliti, o per troppo egoismo delle regioni più forti economicamente, o per scarsa partecipazione degli attori solo formalmente più impegnati. La pandemia ha messo a nudo quel rivendicazionismo territoriale che ha generato conflitti istituzionali, confusione dei ruoli, protagonismo talvolta sopra le righe dei soggetti della realtà locale. Ancora oggi, questo modo, spesso improvvisato di affrontare le situazioni, crea sconcerto tra le comunità. Non di meno esso mina la già fragile Unità d’Italia, malamente intesa da coloro che esasperano il dualismo. Questa realtà che va affermandosi, pericolosa e deleteria, necessita di una profonda revisione dei ruoli, con regole moderne, aprendo una nuova stagione dei diritti e dei doveri. Occorre fare presto e, a mio avviso, l’occasione del voto regionale deve essere colta come una grande opportunità. Non discuto, anche se a mio avviso è solo un’aber – razione, il modo in cui si svolge la competizione tra questo e l’altro candidato per conquistare il potere. Ma quando esso è stato ottenuto, poi bisogna sapere volare alto. Immagino che i nuovi consigli regionali si diano l’impegno per una fase costituente del regionalismo italiano, rivedendo regole superate e rilanciando il problema del riequilibrio territoriale. Purtroppo avrà inciso decisamente la pandemia che non ha lasciato scampo, ma di questa esigenza riformatrice non si ha traccia. Né prima che esplodesse il morbo, né in questa fase che lentamente va verso la normalità. D’altra parte proprio la sanità ha scoperto il suo nervo debole. Non solo per l’impreparazione gestionale nei ricoveri e nel recupero di presidi di sicurezza (mascherine, tamponi, ecc) o, ancora, nello smantellamento di strutture pubbliche per fare spazio al privato, ma soprattutto nel definire a chi competeva assumere le decisioni. Ha scritto Sabino Cassese, giurista di fama internazionale, che ai “nostri governanti andrebbe ricordato che la profilassi internazionale è di competenza esclusiva dello Stato e appartiene alla tutela della salute, non alla Protezione civile”. Aggiungendo che “alcune funzioni trasferite dallo Stato alle Regioni dovrebbero ritornare in gestione uniforme se non centrale, altre funzioni potrebbero essere trasferite dallo Stato alle Regioni”. Di qui la necessità di una verifica. Prima che sia troppo tardi.

di Gianni Festa