Piano di assestamento forestale: tagli o gestione sostenibile?

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di Alfonso Faia, membro del Centro di documentazione della poesia del Sud e del Comitato No Petrolio in Alta Irpinia.

Egr. Direttore
Con questa lettera aperta intendo sollevare una questione che oggi reputo di notevole se non di vitale importanza. L’oggetto in questione è il Piano di Assestamento forestale, così come viene interpretato e applicato e che interessa non solo la verde Irpinia ma tutto il territorio campano. Ideato nel 1877 il Piano, che normalmente è approvato dalle Regioni, divenne legge quadro nazionale col Regio Decreto n. 3267 il 30/12/1923 che all’art. 130 prescriveva l’obbligo di gestione dei boschi e dei pascoli pubblici in base ad un Piano Economico che si proponeva come obiettivo principale quello di “ottenere un prodotto legnoso annuo, massimo e costante”. Successivamente il Piano ha subito degli aggiornamenti, soprattutto regionali, in relazione alle mutate esigenze della società per cui si è parlato più specificamente di “pianificazione del bosco”, quindi di “gestione sostenibile del bosco”.

Anche la Campania si è dotata di una normativa forestale che ha subito diversi aggiornamenti, fino al Regolamento Regionale 28 settembre 2017 n.3, cosiddetto “Regolamento di tutela e gestione sostenibile del patrimonio forestale” che persegue la finalità della gestione sostenibile dei beni silvo-pastorali attraverso la conservazione, il miglioramento e l’ampliamento del patrimonio boschivo regionale, l’incremento della produzione legnosa, la difesa del suolo e, tra l’altro la tutela delle produzioni secondarie, della biodiversità e di tutte le funzioni ecosistemiche e paesaggistiche delle aree forestali”.

Le esigenze del tempo impongono oggi, oltre la manutenzione delle foreste, soprattutto la “Gestione sostenibile”, in relazione alle mutate esigenze ecologiche e climatiche. In considerazione dell’importanza delle foreste per il pianeta, si impone sempre più una ecologia morale: una gestione sostenibile è essenziale per garantire che le richieste della società non compromettano una risorsa così importante.

Le finalità che si propone il Regolamento Regionale, in relazione alla gestione sostenibile, in Campania sono perseguite e rispettate? A quanto pare, l’unica finalità perseguita è quella economica e riguarda l’incremento della produzione legnosa, che va bene soltanto per quanto riguarda i boschi cedui, carpini e querce, che si riproducono da soli tramite i polloni, non certo per quanto riguarda faggio, pino e abete. Per quanto riguarda le nostre foreste montane, il problema è di enorme importanza e impone un cambiamento di atteggiamento per quanto riguarda i tagli; è reale e si può vedere visitando le nostre montagne: molto spesso la selezione degli alberi da tagliare, che avviene col cosiddetto “martellamento”, riguarda una quantità di faggi e abeti notevole, troppa per parlare di semplice assestamento forestale, troppa per non parlare di disboscamento: lo conferma il fatto che , dove i tagli sono già stati effettuati, restano zone completamente spoglie. Interi faggeti e abetaie del Parco dei monti Picentini, hanno già subito lo sfregio dei tagli illegali e, se sottoposti ad ulteriori tagli, lascerebbero ampie zone di montagna completamente desertiche: non si tratta di zone protette quelle del Parco dei Monti Picentini?

I faggi e gli abeti sono piante che non si riproducono spontaneamente: gli abeti, non essendo autoctoni, sono stati importati e quindi necessiterebbero di essere ripiantati, mentre i faggi sono secolari e, una volta tagliati, richiederebbero secoli per riprodursi ma, con le siccità sempre più frequenti, sarebbe loro negata questa possibilità. In questo senso non verrebbero rispettate né le esigenze delle foreste né tantomeno quelle della ecosostenibilità. Ma nemmeno le esigenze economiche verrebbero rispettate: i comuni proprietari del demanio forestale ricaverebbero dai tagli, dati in appalto, qualche centinaio di migliaia di euro ma si perderebbe il valore intrinseco dei boschi e il valore reale dei prodotti del sottobosco e del sottosuolo: funghi, origano e soprattutto tartufi che rappresentano una vera ricchezza della nostra terra che vale diverse centinaia di migliaia di euro ogni anno.

E che dire del dissesto idrogeologico? I troppi tagli impedirebbero il fenomeno carsico, essendo le nostre montagne formate da rocce calcaree, di assorbimento dell’acqua piovana o dello scioglimento della neve, peraltro sempre più rara, che consente di alimentare le falde acquifere che sono la ricchezza della nostra Irpinia; le piogge, sempre più torrenziali, favorirebbero inoltre l’erosione del suolo, gli smottamenti e le frane. Sarebbe garantita la tutela idrogeologica e la messa in sicurezza del territorio?

E da chi, dal momento che fino adesso abbiamo visto le nostre montagne abbandonate a se stesse, salvo poche eccezioni che riguardano le zone turistiche? Al mancato sviluppo dei prodotti del sottobosco e del sottosuolo bisogna aggiungere i danni che subirebbe la fauna selvatica locale, soprattutto quella aviaria, alla quale non sarebbe consentita la nidificazione e sarebbe, di conseguenza, costretta ad una inevitabile migrazione. Ma poi sarebbero garantiti gli interventi di rimboschimento, di ricostituzione boschiva e di sistemazione idraulico-boschiva? E da quale ente, se i comuni cercano di racimolare, con i tagli, un pugno di migliaia di euro che non riescono a coprire nemmeno le spese per i servizi ordinari?

Concludendo, i nostri boschi non hanno bisogno di essere tagliati indiscriminatamente per essere sani, ma richiedono interventi mirati, circoscritti e razionali. I boschi, lasciati crescere, diventano foreste mature che possono fornire i benefici ecosistemici che solo le foreste strutturate e complesse possono offrire. Oltretutto avviene già una selezione naturale degli alberi in quanto quelli malati cadono da soli in seguito alle piogge torrenziali o a causa delle trombe d’aria sempre più frequenti, anche perché le radici non trovano il sostegno della terra sempre più arida a causa dei prolungati periodi di siccità.

Oggi sembra anacronistico parlare di valore economico delle foreste montane derivato dai tagli in quanto la collettività non ha più bisogno di trarre dal bosco alcuni prodotti come in passato quando la legna svolgeva funzioni vitali per il riscaldamento delle case e per l’alimentazione delle industrie, con la conversione in carbone, e per l’edilizia.

Altro discorso, dicevamo, per quanto riguarda i boschi cedui che hanno la capacità di riprodursi da soli, che possono soddisfare le esigenze di chi usa ancora il camino o la stufa per il riscaldamento, cosa che comunque sarà concessa ancora solo per pochi anni. Ha un senso tagliare faggi e abeti che oltretutto rendono caratteristico il paesaggio della verde Irpinia quando esigenze impellenti, che riguardano l’ecosistema e i cambiamenti climatici, suggeriscono piuttosto di piantarli gli alberi come avviene in altre Regioni più accorte e più virtuose?