Un programma minimo per la città: emergenza sociale, questione morale e urbanistica

I candidati alle Amministrative sono chiamati ad affrontare almeno queste tre questioni fondamentali. Povertà e mancanza di lavoro. Legalità nelle istituzioni e nelle imprese per arginare ogni rischio di infiltrazioni mafiose anche alla luce dei fatti di Monteforte

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AVELLINO – Programma minimo per la città di Avellino: disagio sociale, sviluppo sostenibile e questione morale. Chi si candida a governare il capoluogo non potrà fare a meno di confrontarsi su questi temi.

Disagio sociale: al momento solo Antonio Gengaro ne ha discusso, parlando di un’emergenza attuale e da affrontare con impegno ed efficacia. Un disagio inevitabilmente legato alle condizioni economiche in cui versano le famiglie avellinesi, frenate dalla mancanza di lavoro e da decenni di politiche clientelari. E da genitori in difficoltà, arrivano figli difficili, con frequentazioni difficili e storie che viaggiano sui crinali dell’aggressività e della violenza. Cosa può fare un’amministrazione comunale per arginare queste derive? Cosa si propone di fare il prossimo sindaco di Avellino?

Sviluppo sostenibile, consumo di suolo, mobilità urbanistica: sul tavolo ci sono già una serie di progetti, alcuni avviati, altri ancora solo sulla carta. Chi si candida a governare Avellino deve spiegare agli elettori in quale direzione intende portarci. Di Nunno parlava di una città giardino, fatta di parchi e di luoghi di socializzazione. La città può migliorare. Può andare in una direzione o nell’altra, ma è fondamentale che al più presto assuma una precisa identità. Disastrosa, per esempio, è la questione della mobilità: è evidente che circolano per le strade cittadine troppe macchine. Basta un nonnulla per far creare ingorghi, attese interminabili e risse tra automobilisti esasperati. Avellino è una città che per qualità dell’aria è tra le ultime in Italia. Ma anche questo è un problema dal quale se ne esce disegnando uno sviluppo urbanistico che abbia una personalità e una visione. Chiediamo al prossimo sindaco di disegnare una visione urbanistica che sia però al servizio dei cittadini e non delle speculazioni edilizie, del consumo di suolo selvaggio, di quella cementificazione che nessuno vuole ma che poi prende puntualmente forma davanti ai nostri occhi.

E soprattutto, e qui veniamo anche al terzo punto della questione morale, bisogna mettere al riparo la città dalle ingerenze della criminalità organizzata. Perché purtroppo, ormai non è neanche più solo una percezione o un sospetto: è un fatto. Messo nero su bianco dai nostri massimi rappresentanti istituzionali. Lo stanno dimostrando i documenti che abbiamo letto proprio in questi giorni: la relazione stilata dal prefetto di Avellino Paola Spena e dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sullo scioglimento del Comune di Monteforte, praticamente alle porte di Avellino. In questa relazione si parla di una evidente presenza di clan camorristici che gestiscono forti interessi nelle speculazioni edilizie nel capoluogo e nel suo immediato hinterland. Ancora più nel dettaglio, nella relazione ministeriale si parla del servizio di raccolta di oli esausti che sarebbe stato assegnato a ditte vicine al clan Moccia, peraltro tramite l’intermediazione di un noto imprenditore della provincia di Avellino del settore edile a sua volta già raggiunto da una interdittiva antimafia.
Se non è questa una questione morale da affrontare e debellare… Ed è anche troppo facile per i candidati dire che non hanno intenzione di fare campagna elettorale sulle disgrazie giudiziarie dell’amministrazione uscente: sono questioni che vanno invece affrontate di petto. Denunciate e soprattutto “ragionate”: bisogna che almeno ci provino a mettere sul tavolo uno straccio di proposta sul come vogliono affrontare e risolvere la cronica piaga della corruzione. Bisogna che si impegnino almeno un po’ su questo che è un problema globale: magari facciamo diventare Avellino un laboratorio anticamorra. Finalmente metteremmo in campo un “laboratorio” serio, finalizzato a risolvere un problema vero, e non quei soliti “laboratori politici” studiati per mettere insieme questa o quella coalizione.