Se le periferie rinunciano al voto

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C’è un legame tra la vittoria della sinistra in Germania e il risultato delle amministrative in Italia. Il successo dei candidati del PD nelle principali città unito al cambiamento tedesco apre uno spazio nuovo per il riformismo di sinistra e molto ha contato sia in Germania con Scholz sia in Italia con i sindaci la credibilità e l’affidabilità dei candidati. Bisognerà adesso capire come evolverà il quadro politico tedesco ed europeo e quanto si modificherà il percorso in Italia. In Germania ha vinto una sinistra ancorata al centro che ha saputo raccogliere meglio del partito della Merkel, l’eredità della Cancelliera. In Italia Enrico Letta ha sfruttato molto bene la popolarità dei candidati (soprattutto Sala a Milano e Manfredi a Napoli) e ha ridato fiato ad un PD che sembrava in difficoltà.  L’analogia vera che si può fare però tra due elezioni così diverse è che Scholz e Letta hanno approfittato della debolezza dei candidati avversari. In Germania il leader socialdemocratico si è imposto come il vero continuatore della politica di Angela Merkel e ha occupato nei fatti il vuoto che si è aperto nella CDU, troppo debole la scelta dello sconfitto Armin Laschet. In Italia altrettanto deboli sono apparsi i candidati del centrodestra nelle principali città del nostro Paese. La vittoria del centrosinistra in Italia dunque, da un lato ribadisce la bontà della scelta di candidati moderati e dall’altra la più straordinaria conferma di un problema di classe dirigente che riguarda la coalizione di centrodestra. L’esempio più vistoso è Milano dove il PD prende dieci punti in più del centrodestra, lì dove il centrodestra è nato e sono nati due dei suoi leader, Berlusconi e Salvini con quest’ultimo più impegnato a duellare con la Meloni che con i suoi avversari. Entrambi hanno “lavorato inconsapevolmente” per far vincere il centrosinistra, anche se al momento tra i suoi candidati non si intravede oggi un leader del futuro (forse solo Beppe Sala), ma certamente i sindaci eletti sono figure competenti e rassicuranti. Attenzione però a considerare questo risultato come propedeutico alle elezioni politiche che verranno. Il centrosinistra ci arriva con meno paura rispetto a qualche settimana fa, ma la sceneggiatura di questo film è ancora tutta da scrivere e interpretare.  Quasi trent’anni fa, nel 1993, la sinistra vinse in tutte le principali città italiane tranne Milano, ma poi a distanza di pochi mesi si arrese a Berlusconi e alla sua Forza Italia che seppe coniugare il federalismo di Bossi con il nazionalismo di Fini. Come ha scritto Alessandro De Angelis su Huffington Post “la verità è che la vittoria del Pd è una vittoria politica, non un plebiscito sociale, nell’ambito di un momento ancora straordinario segnato da una clamorosa scissione tra sistema politico e popolo. Mai si era vista, in Italia, un’affluenza così bassa: il minimo storico a Torino (48,1, quasi dieci punti in meno rispetto alla volta scorsa), il minimo storico a Milano (47,7, otto punti in meno della volta scorsa), a Roma (48,8, quattro punti in meno) anche a Bologna, di poco superiore al 50, scende di 8 punti. Meno della metà. Non hanno votato le famose periferie – il cuore della rivolta – che, nell’ultimo decennio si sono affidate al populismo (Cinque stelle prima e Lega poi) in nome di avversione radicale all’establishment e di un bisogno di protezione sociale ceti piegati dalla globalizzazione e della grande crisi. C’è, dentro questo dato, tutta la crisi di chi ha incarnato la rivolta, promettendo il tutti a casa per poi governare con tutti pur di non andare a casa, la lotta all’establishment per poi diventare tali, insomma il senso di inutilità del voto”.

di Andrea Covotta