Strumenti eccezionali e comitati tecnici

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“Per chiedere un sacrificio collettivo bisogna proporre un contratto sociale che offra benefici a tutti”. Una settimana fa, mentre la pandemia da Covid-19 mieteva vittime ovunque, il più autorevole giornale finanziario del mondo, il “Financial Times”, evocava lo spirito e gli ideali del secondo dopoguerra per indicare l’obiettivo cui tendere per immaginare una risposta adeguata alla crisi in atto e alle sue prevedibili conseguenze. Sul medesimo quotidiano, Mario Draghi aveva pubblicato il 26 marzo una lettera aperta indirizzata ai governi europei con la quale invitava a mettere in campo strumenti eccezionali per tempi eccezionali, onde evitare “una tragedia umana dalle proporzioni potenzialmente bibliche”. Oggi la dimensione della catastrofe comincia a manifestarsi in tutti i suoi aspetti: mentre il virus che aggredisce i polmoni degli uomini soffocandoli sembra attenuare la sua virulenza, le conseguenze del contagio sull’economia mondiale assumono una drammatica gravità. Se ci limitiamo al caso italiano, abbiamo la previsione di una riduzione del Pil superiore al 9% annuo, con un debito pubblico in rialzo di venti punti, dal 134,8% del Pil nel 2019 al 155,5% nel 2020 e un deficit che passa dall’1,6 all’8,3%. Una ricerca dell’università della Tuscia pubblicata ieri dice che 21 milioni di italiani stanno vivendo questo momento di emergenza con serie difficoltà economiche dovute alla perdita di reddito, e le prospettive non sono rosee: gli stanziamenti finora varati dal governo per sostenere chi ha dovuto sospendere la propria attività sono insufficienti a ripristinare il potere d’acquisto volatilizzato, e le garanzie offerte dallo Stato alle banche per erogare i prestiti alle imprese in deficit di liquidità stentano a decollare per le solite lungaggini burocratiche. Dopo metà maggio, quando il Tesoro andrà sul mercato per finanziare i provvedimenti, si potrà misurare la risposta dei risparmiatori e quindi la fiducia nello Stato debitore; ma già sappiamo che il 2020 sarà un anno nero: alle crisi finanziarie che abbiamo già conosciuto in questo secolo (2008 e 2011) si aggiungerà una crisi industriale di proporzioni inaudite, le cui conseguenze peseranno come un macigno sul futuro del Paese.

Per arricchire di contenuti il nuovo “contratto sociale” ipotizzato, il “Financial Times” nell’articolo già citato proponeva riforme radicali nel mercato del lavoro, un ruolo più attivo dello Stato nell’economia, un riequilibrio delle opportunità fra le diverse classi sociali, adeguate compensazioni per chi oggi sostiene il peso maggiore della crisi. Strumenti eccezionali per tempi eccezionali, insomma, come quelli richiesti da Mario Draghi: con una visione da economia di guerra già proiettata sulla ricostruzione. Ma ne saremo all’altezza? C’è da dubitarne, se si guarda al volume più consistente delle risorse messe in campo fin qui da chi dovrebbe decidere l’indirizzo da dare al Paese: le cronache di questi giorni registrano una moltiplicazione di comitati, task force, pensatoi, gruppi di esperti, cervelli scientifici e tecnici, cabine di regia che affiancano il governo, i ministri, le regioni e chiunque altro sia chiamato a scegliere per pianificare il futuro; spesso con duplicazione di competenze, invasioni di campo e difformità di proposte. Qualcuno si è divertito a fare il conto degli esperti dei vari settori convocati al capezzale del paziente Italia: si superano abbondantemente le duecento unità. Con il rischio di una gran confusione di idee.

di Guido Bossa