Sud e autonomia: nostalgia 

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Quando si parla di incompetenza oggi è di rigore chiamare in causa i grillini, sott’ accusa, prima di non conoscere la storia e di non poter far tesoro dei suoi illuminati insegnamenti e poi di essere sprovveduti nelle loro varie iniziative, indipendentemente da quello che chiedono.
Spostando il discorso sul fronte opposto dei critici, sempre oggi, che cosa invece si deve dire dei tanti competenti ad ogni livello che, di fronte a talune scelte divisive e penalizzanti per il Paese, si sono dimostrati incompetenti e provveduti nel contrastarle? Ciò che scriviamo è in rapporto alle odierne polemiche sul nodo spinoso delle “autonomie regionali”, che si stanno concretizzando tra gli strepiti inutili o tardivi di un Sud, addirittura “cavallo” di Troia, nel dare più forza a mire e ambizioni da sempre covate da un Nord ingordo. Purtroppo al Sud odierno, pur avendo figure di primo piano, eccellenti “opinion maker”, persone degnissime, autorità accademiche sovrane, di cui si può menare vanto, manca qualcosa di indispensabile e di molto importante, che un tempo aveva. Manca l’autorevolezza dei grandi meridionalisti che gelavano i risorgenti appetiti padani, i ciclici egoismi territoriali. Ad esempio, manca un Francesco Compagna, che, nei primi anni Settanta, appena varate le regioni, fiutò subito la “tentazione autonomistica nordista”, lanciata da Gianfranco Miglio, mistico della Lega, sostenuto dal comunista Zangheri e anche dalla Fiat , con la proposta delle Macroregioni. Nel segno dell’unione fa la forza: figuriamoci poi quando a unirsi erano le più forti: era la fine per le più deboli. Compagna non si limitò a bocciare questo frutto velenoso di un “panregionalismo” svuota Stato unitario, ma ne minò gli obiettivi andando a sbugiardare nelle loro ville della Brianza gli “autonomisti” . Già quarant’anni fa capì, denunciò e racchiuse in una parola “Panregionalismo” i rischi, le insidie, i mali di una montante orgia di poteri, che avrebbe indebolito lo Stato nazionale e emarginato il Sud. Un rischio alle porte in queste ore, anche se l’argomento sembra bloccato dall’ ipocrita, meschina moratoria di questo governo. Che narcotizza tutte le scelte per continuare a sopravvivere invece di dire alla Lega non puoi fare “cappotto” . Il timore di uno scollamento unitario, già temuto dai costituenti, fu il grande assillo anche del Presidente del Consiglio e segretario storico della Dc De Gasperi, che si adoperò molto perché il varo delle regioni avvenisse il più tardi possibile, come poi avvenne, venti anni dopo il varo della Costituzione, preoccupato che le regioni potessero fare da “grimaldello” per ogni sconsiderato egoismo. Peccato che ciò che vide De Gasperi, non siano riusciti a vedere molti suoi discendenti non dirò eredi- che hanno lavorato nella direzione dissipatrice dello Stato risorgimentale, dando con la parodistica riforma dell’art. V della Costituzione il via libera all’anarchia regionale con un irresponsabile “laissezfaire”, in realtà la rinuncia di un serio controllo da parte dell’autorità centrale. E’ vero che il primo a parlare di autonomia fu Guido Dorso, ma lui la interpretò con la “ visione giusta di profeta politico” come precondizione indispensabile di maturità e capacità della classe dirigente per poter governare epocali processi di affrancamenti, a cominciare da un Sud più responsabile. Un discorso rimasto lettera morta.

di Aldo De Francesco