Suicidi oltre la cronaca

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Di Gianni Festa

Quasi venti suicidi dall’inizio dell’anno. Quasi tutti giovani. Un dramma che ci lascia basiti. Per una piccola provincia è un record. E’ inutile cercare le motivazioni di questi gesti. Una sola parola accomuna gli eventi: disagio. Fermarsi a darne notizia è un grave errore. Occorre, invece, capire il contesto, riflettere sulle responsabilità di una società che crea insoddisfazioni e insicurezza porta a scegliere tra la vita e la morte quest’ultima. In ogni caso, per ogni vittima di questa scelta crudele è il pessimismo che vince sull’ottimismo. La scelta si consuma in pochi secondi e solo chi ne è protagonista ne conosce il perché. Il resto, tutto il resto, è solo chiacchiericcio condito di ipotesi spesso lontane dalla realtà. E’, comunque, la condizione esistenziale (e sociale) che va ispezionata al fine di trovare gli strumenti più efficaci per fronteggiare il fenomeno. L’Irpinia, tanto per fermarci al contesto provinciale, ha molti problemi non risolti nei confronti dei giovani. Dallo spopolamento delle zone interne, alla disoccupazione crescente, alla precarietà del lavoro, alla emarginazione di chi è più meritevole e si vede scavalcato dai raccomandati: il disagio ha tante facce che rendono problematico un intervento salvifico. Anche perché rispetto alle precarietà non vengono utilizzati come invece si dovrebbe gli strumenti finanziari. Un caso emblematico è quello relativo al Piano di zona che vede capofila il Comune di Avellino. Qui da anni è in corso un continuo litigio tra gli amministratori che fanno parte del distretto. Milioni di euro restano nei cassetti senza trovare una destinazione a favore dei disabili, degli affetti da alcolismo, dei consumatori di stupefacenti. Il welfare è stato completamente cancellato. Non solo. Non esiste una politica per i giovani. L’aggregazione avviene solo davanti ad una birra, a contrasti per futili motivi che generano violenza. L’iniziativa pubblica è assente. Da anni non c’è la sollecitazione per dare vita a forme cooperativistiche che possano impegnare i giovani in lavori utili. Li si accontenta con un cantante, più o meno noto, che si esibisce in piazza. E’ l’oppio povero di una comunità che vive nel degrado. Manifestazioni culturali di un certo tono sono sponsorizzate da privati che catturano qualche spicciolo dagli enti pubblici. Il mal di vivere dipende anche da questo, da una comunità che non si rende conto dello scivolare verso il degrado. I rapporti interpersonali sono poi profondamente mutati: è anche questa una delle cause che generano solitudine pur nel frastuono del consumo dell’informazione o suddetta tale. Purtroppo c’è una sottovalutazione del potere dei social che sono, a volte nella loro superficialità, strumenti contro la vita. L’emulazione, una volta trattata con somma discrezione, si è trasformata in una gara senza valori alimentata da click che pretendono di suscitare interesse. Resta il fatto che, in una piccola provincia, il numero di suicidi deve suscitare un forte allarme. Ancora una volta devono essere le agenzie sociali, scuola, famiglia, chiesa, istituzioni, a scendere in campo per proporre modelli di sani e utili interventi. Il terreno della conquista del valore della vita deve essere arato con un senso di responsabilità che è venuto meno nel tempo che attraversiamo. Si abbandoni la prassi della semplificazione e si ritorni al confronto per la difesa dei valori, tra cui supremo è quello della vita. Ma occorre, ancora una volta, fare presto.