Un pensiero che alimenti il riscatto

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Vorremmo finalmente uscire da questo “oblio” e vorremmo uscirne con la consapevolezza che sia l’inizio della fine di un incubo, con la certezza di scorgere un bagliore di luce nella notte buia che avvolge questo presente drammatico.

L’Irpinia sta conoscendo in profondità i segni, le “stigmate” di questa “perfida” maledetta crisi, sulla pelle di un corpo sociale giá ustionato, sfigurato dalla disoccupazione, dalla perdita del lavoro, dalla povertà vissuta in silenzio, dalla disperazione.

Nel frattempo centinaia di migliaia di persone sono precipitate nel baratro della solitudine esistenziale, abbandonate al loro destino, e ci resteranno se non ci sarà un sussulto vivo di chi aspira ad incarnare la parte sana di un Paese, purtroppo, profondamente malato.

Non sarà facile uscirne, facendo tornare i conti di una realtà sociale che conosce soltanto quelli del rigore economico imposto sotto i colpi del cieco rigido potere finanziario, in questo inverno della nostra della democrazia.

Questo Paese è malato, ed è malato nella sua identità, nel suo “sentirsi comunità umana condivisa”. Un paese, diviso ancora tra un Nord e un Sud che si sentono estranei l’uno all’altro, che ha rimosso la solidarietà come cemento di coesione sociale, che ha demolito il welfare state come principio “costituzionale” ordinatore, andando a sottomettere alle regole della finanza la sanità l’istruzione la previdenza, i tre cardini, i pilastri sui quali si è retta fino a ieri la nostra civiltà democratica.

La fragilità, la sterilità della politica di oggi non hanno permesso di partorire un progetto proteso al bene comune, al “benessere” di tutti.

Con questo Sud, chiamato Irpinia, impantanato nel guado storico della sudditanza feudale e di un campanilismo politico che non si sgretola neanche davanti alla necessità del presente.

Il Meridione, questo Paese, è sotto le macerie sociali di una stagione tragica e non si sa cosa diavolo deve ancora succedere perché questa classe politica, autoreferenziale “disconnessa” dal Paese reale, si scuota, abbia un moto di orgoglio, di dignità, semplicemente un gesto di amore per questa terra.

C’è bisogno di coraggio e non di paura. Né dolore, né paura.
E’ il momento di rivoltare questa terra del Sud fino alle sue radici più profonde.
Il tempo del saccheggio amministrativo e paesaggistico è finito.

E’ tempo, invece, di riprendersi la dignità di abitare questa Irpinia, questa terra meridionale, di avere un sussulto di orgoglio, di richiamare l’insegnamento e le battaglie dei padri, dei nonni, di volgere lo sguardo disorientato del presente alla fierezza di un passato presto rimosso per riprendersi un futuro che ci appartiene, è tempo di un pensiero nuovo che alimenti un nuovo sogno e squarci, con un lampo di rivolta, questa “notte buia”.

“Il futuro ha un cuore antico”. E’ racchiuso in quel bagaglio ideale di una cultura contadina da ri-considerare, ai cui valori ri-educare i giovani, dopo il generale disorientamento/smarrimento di una modernità che ha reso inconsistenti, fluttuanti, “liquidi”, valori morali e sentimenti, dove la “materialità” e la “frammentarietà” sono al centro della vita, dopo l’era dell’anestesia totale delle coscienze, dopo l’ubriacatura collettiva di aver vissuto nella finzione bisogna fare un bagno di realtà, dopo l’invasività di una crisi perniciosa che si è rivelata anche come crisi identitaria

Bisogna rimuovere, qui e ora, le macerie, dissodare “la terra”, ritornare a coltivare il campo, ararlo e avviare una “semina nuova”, salutando l’arrivo di un tempo nuovo, di una rinascita, in questo tempo di avvento.

Da questo angolo di mondo, che è l’Irpinia, bisogna rivordarlo, mutuando le parole cantate di Ivano Fossati, che “la disciplina della terra sono i padri e i figli…perché la vita non va così … è la disciplina della terra”.                                                                                              

 

                                                                                                di  Emilio De Lorenzo