Una manovra elettorale 

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Anche se corretta rispetto alla stesura iniziale, è probabile che la manovra di bilancio prefigurata per il prossimo triennio con la nota di aggiornamento inviata giovedì sera alle Camere non si sottrarrà ad una severa censura della Commissione europea, annunciata dall’infiammato scambio di polemiche fra i ministri più “politici” del governo Conte e gli eurocrati di Bruxelles…
Gli Eurocrati di Bruxelles vedono il pro- Enrico Maria Troisi prio potere e il proprio futuro insidiati dal dilagare di quei nazionalismi e sovranismi antieuropei che dopo i paesi dell’est hanno infettato anche le coste del Mediterraneo. I tempi per la risposta comunitaria sono piuttosto stretti: arriverà prima della conclusione dell’iter parlamentare del complesso provvedimento, e prima ancora arriverà il giudizio delle agenzie di rating che si prevede negativo; ma la duplice bocciatura non sembra preoccupare il governo italiano, che l’ha già in parte messa nel conto. La questione a questo punto è un’al – tra: accettando in parte le prime severe censure rivolte al ministro Tria nella sua sofferta trasferta all’Eurogruppo, la manovra è stata modificata accentuandone il carattere marcatamente elettoralistico, nel senso che lo sfondamento del deficit inizialmente previsto per l’intero triennio si concentra ora solo sul 2019, in vista dell’appuntamento di maggio nel quale non solo in Italia si sfideranno due concezioni dell’Europa e del rapporto fra cittadini, politica, Stato. Per vincere questa battaglia, i due partner di governo italiani (il presidente Conte ha detto più volte non aspirare ad un futuro politico oltre l’orizzonte di questo governo) hanno messo i gioco tutte le risorse disponibili e anche quelle che disponibili non sono, e dunque ricorrendo al debito. Poi si vedrà: un nuovo Parlamento e una nuova Commissione potrebbero allargare per tutti i vincoli di bilancio e trasformare l’Unione in qualcosa di nuovo e mai sperimentato finora, o addirittura decretarne la fine, come è nei desideri di qualcuno. Intanto, già dai primi mesi del 2019, in piena campagna elettorale, in Italia torneranno a sventolare appaiate le bandiere che nella tornata precedente avevano guidato all’assalto due eserciti contrapposti: gli uni, i leghisti, attestati sulla trincea della sicurezza, della riduzione delle tasse e della riforma, anzi dell’azzeramento della legge Fornero; gli altri, i Cinque stelle, su quella del reddito di cittadinanza, che al Nord si traduce nel mai abbastanza deprecato assistenzialismo. Ad avvicinare le due bandiere e gli eserciti che le inalberano è servita da una parte l’espansione elettorale della Lega nel Mezzogiorno, visibile per ora solo nei sondaggi, ma domani chissà, visto che Salvini sta arruolando personale ed elettorato in uscita da Foza Italia. Si tratta di fasce di opinione sicuramente sensibili ai temi securitari, ma anche a quelli sociali, ancorché non coincidenti con il patrimonio ideologico della Lega prima maniera, quella che nel Nord ancora guarda con diffidenza al reddito di cittadinanza e pensa che siano soldi buttati. Le polemiche delle ultime ore sulla reale consistenza della dotazione destinata al sostegno al reddito e sull’eventuale assorbimento in esso di misure già in vigore, non sono destinate a spegnersi, mentre l’avvio della misura ad un mese dalle elezioni ne conferma la torsione strumentale. Del resto, anche Renzi fece così con gli 80 euro, e gli andò bene; ma l’iniziale consenso non resse al logoramento del tempo e alle ambizioni di riforma. D’altra parte, nello scambio di favori fra Lega e Cinque stelle negoziato al tavolo del “contratto”, anche i grillini hanno dovuto accettare la riforma della Fornero, che in un paese che sta pericolosamente invecchiando anticipa di cinque anni l’uscita dal lavoro, in controtendenza con le previsioni che si fanno dalla Russia al Giappone e quando l’aspettativa di vita tende per fortuna a crescere. Per giustificate la misura, il ministro Paolo Savona ha detto che per ogni prepensionato avremo due nuovi ingressi di giovani nel mondo del lavoro. Non è mai stato così: se va bene c’è un ingresso per ogni due o tre uscite. Ma lo vedrà dopo le elezioni.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud