Una mostra omaggio a Diego Cavaniglia, Caloia chiama gli artisti

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Una mostra omaggio a don Diego Cavaniglia ed al monumento degli innamorati di San Francesco a  Folloni, tra mito, natura, vanità, virtù, fede, amore e morte.  E’ l’evento curato dal pittore e dirigente scolastico Francesco Caloia,  tra Montella, Cassano e Bagnoli Irpino con il supporto e patrocinio di La Casa di Giuseppe Casciaro Officina Culturale di Nusco, in programma dal 20 luglio al 20 agosto. Una nuova sfida per Caloia dopo il successo riscosso  nella chiesa abbazia di Sturno dalla mostra “San Michele Arcangelo tra vecchi e  nuovi demoni” e da “Raccolti e Liberi per la ripartenza” nel Castello di Gesualdo e le mostre presso l’antica taverna di Villamaina. Don Diego Cavaniglia conte di Montella, modello ideale del cavaliere rinascimentale e il suo cenotafio, che si può ammirare nella sacrestia della chiesa di San Francesco a Folloni, diventeranno fonte di ispirazione per nuove opere in cui l’arte contemporanea è chiamata a dialogare con la storia. Le opere potranno, inoltre, raccontare i paesaggi che circondano il territorio, quegli stessi che in passato hanno ispirato i vedutisti napoletani e lo stesso Michele Lenzi, noto pittore paesaggista che fu anche sindaco di Bagnoli Irpino;  l’amore cortese cantato dal montellese Rinaldo d’Aquino, poeta vicino a Federico II di Svevia ed esponente della scuola poetica siciliana; l’etica e le virtù a cui fanno riferimento le cariatidi del monumento a don Diego; la fede e i conflitti di religione che ancora non si riescono a superare. Chi vuole aderire  potrà farlo entro il 20 febbraio 2023. Le opere da esporre saranno sottoposte a selezione a insindacabile giudizio del curatore e dovranno essere pronte tassativamente entro il 30 aprile 2023. Dovranno essere realizzate utilizzando esclusivamente le seguenti misure: 100x100x5 cm – 100x80x5 cm – 100×120 oppure x 130 x5 cm. Le opere scultoree sono a dimensione libera. Ogni artista, oltre all’opera principale, dovrà realizzare un quadretto o un bassorilievo (da scultori o ceramisti) utilizzando lo schema di seguito riportato, su una tavoletta di 40x40X1,5 o 2,00 cm, che andrà a costituire una o più opere collettive (per esprimere il concetto di pensiero divergente e comunità (Il quadretto, o l’eventuale formella in bassorilievo resterà al curatore a simbolico riconoscimento dell’impegno profuso nell’organizzare l’evento. “Abbiamo il dovere, soprattutto in qualità di artisti, di far sentire la voce dell’Arte – spiega Caloia – in questi tempi particolarmente complessi, in un mondo in continua frammentazione, in cui il materialismo e il consumismo hanno preso il posto della soggettività ed unicità di ciascuno, dove L’homo sapiens si agita spaesato nella realtà virtuale delle relazioni liquide prive di umanità, e che tra l’altro sollevano dubbi inquietanti nell’ibridismo dei linguaggi. Viviamo in un mondo appiattito sugli schermi degli smarthfone, così da confondere bidimensionalità e tridimensionalità, realtà e finzione, verità e fake news, informazione di propaganda e dati certi. Ma la transizione digitale e lo sviluppo  informatico, aprendosi alle innovazioni e guardando al futuro dei giovani, offrono anche l’opportunità di ripensare il tradizionale capitalismo basato sul consumo usa e getta e sul profitto predatorio.  E’ necessario lavorare e impegnarsi in un atto sociale, politico e salvifico, spaziando dalla pittura alla scultura, dalle installazioni, alle performance, dai video alla fotografia; lavorare partendo dal “microcosmo interpersonale” per raccontare il “macrocosmo umano”, fatto di relazioni, oggetti, corpi, spazi, pensando all’arte in questo periodo come un seme per educare giovani e meno giovani del nostro territorio alla bellezza, facendoli immergere in modo altro, nelle atmosfere del passato e del presente, per ridurre gli elementi di disuguaglianza territoriali e sociali e proporre momenti culturali e artistici a tutti coloro che possono fruirne per nutrire lo spirito”. Serve un’etica per i giorni difficili che stiamo vivendo. Più dell’energia del gas russo o di quella del sole e del vento, più dell’ennesimo vaccino, più di una legge elettorale che funzioni generando governi stabili, più di ogni altra urgenza sociale, politica e economica, noi abbiamo bisogno di etica”

Don Diego Cavaniglia

Le vesti (farsetto e giornea) di Diego I Cavaniglia, rinvenute nel 2004, dopo essere
state restaurate, vennero esposte nel museo dell’opera di San Francesco a Folloni,
a Montella.
Nel 2004, grazie alle ricerche di padre Angelo Stoia, guardiano del convento di San
Francesco a Folloni, si venne a conoscenza del fatto che nel 1980, durante i lavori di
consolidamento successivi al terremoto dell’Irpinia, alcuni operai avevano rinvenuto
uno scheletro nei pressi del sarcofago, che avevano avvolto in una busta di plastica e
riposto in una cavità del muro retrostante il monumento di Diego. La busta con i
resti e gli indumenti funebri venne ritrovata nello stesso posto in cui era stata
riposta. La notizia ebbe grande risalto e diede l’avvio ad una campagna di ricerca per
accertare l’appartenenza dei resti al conte Diego. Il restauro degli indumenti affidato
alla dottoressa Lucia Portoghesi rivelò che si trattava di una giornea e di
un farsetto del XV secolo, confermando l’enorme importanza a livello internazionale
della scoperta.