Verso una crisi istituzionale 

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A più di 60 giorni dalle elezioni siamo ancora in una situazione di stallo, sempre più inestricabile e grave, che potrebbe sfociare, se le cose dovessero continuare con la disinvoltura, il poco senso dello Stato e l’irresponsabilità fin qui dimostrata dai vari Di Maio, Salvini e Renzi, in una vera e propria crisi istituzionale. Il compito del Presidente della Repubblica, di fronte a simili personaggi e tra veti, contro veti, distinguo, Aventino e propaganda elettorale continua, è da far tremare le vene ed i polsi e la calma e la saggezza potrebbero non bastare più.
I mercati e l’Europa non ci faranno sconti e le scadenze sono di grande rilevanza politica ed economica, a cominciare dalla legge di bilancio: con la necessità di reperire 12/18 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e delle accise, i problemi interni, del lavoro che continua a mancare e della povertà che continua ad aumentare, ed i rapporti con l’Europa che non possono essere sbrigati da un governo tecnico. Un eventuale governo del Presidente, di scopo o di tregua non ha il consenso di Salvini e di Di Maio ed un governo elettorale al momento appare l’ipotesi più plausibile. Un governo elettorale, con la stessa legge elettorale sarebbe, però, una sciagura e potrebbe aprire le porte ad una grave crisi istituzionale. Eppure su questa ipotesi, per nulla campata in aria, c’è la più grande indifferenza dei partiti e di buona parte dell’opinione pubblica che continua a cincischiare ignorando che ci troviamo su un burrone dal quale possiamo precipitare da un momento all’altro. Di Maio e Salvini, irresponsabilmente, spingono per ritornare al voto al più presto possibile, già a giugno o luglio, con questa legge elettorale e con il pericolo di arrivare all’esercizio provvisorio. Siamo ancora in piena campagna elettorale ed al senso dello stato e alla volontà di dare comunque un governo al Paese si sottraggono i leader dei tre blocchi facendo prevalere il populismo, l’interesse di parte, il rancore ed il “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Di Maio e Salvini si proclamano vincitori pur non avendo la maggioranza dei voti in parlamento e il PD di Renzi (perché si comporta ancora da padrone del partito!) si tira fuori dal gioco e si pone all’opposizione di un governo che non c’è, rifiutando anche solo un colloquio con il M5S, al quale sono andati – secondo molti osservatori politici- due milioni di voti di sinistra. E tutto questo in presenza di una legge elettorale, sostanzialmente proporzionale, che Renzi ha imposto al Parlamento con ben otto voti di fiducia, al di là delle frottole che il troppo loquace Rosato ammansisce in televisione con una gran faccia tosta. Mai, in passato, una legge elettorale si è dimostrata tanto sciagurata e mai si è pensato che dovesse essere fatta da una parte per danneggiare l’altra. Mai sono state fatte tante leggi elettorali in così pochi anni e tutte con la stessa filosofia, scritte male e addirittura incostituzionali. Questa, poi, per la quale si dovrà pronunciare la Corte Costituzionale non garantisce né la governabilità né la rappresentanza. E si sapeva. Se i nostri politicanti avessero più a cuore l’interesse generale e non quello di parte, prima di proporre di andare a votare farebbero una nuova legge elettorale, magari – se non trovano l’accordo- ripristinando, sic e simpliciter, il Mattarellum che si è dimostrata migliore di tutte quelle che sono venute dopo. Ma se Di Maio ha clamorosamente fallito per la voglia di andare comunque al Governo con chiunque glielo permettesse e con qualsiasi programma, Salvini fa un gioco ancora più ambizioso anche se di più lungo termine. Si appresta ad inglobare quello che resta di Forza Italia e di portare al Governo la sua destra, lepenista ed antieuropea. Nessuna seria riflessione è fatta dal PD che dimostra di essere ancora nelle mani di Renzi e del suo cerchio magico con il naturale consenso dei nominati. Nessuna seria riflessione sulle cause di una sconfitta storica, nessuna alternativa quanto ad una nuova classe dirigente coraggiosa e lungimirante che continua a ritenere Renzi una risorsa e non una sciagura: tra un Martina, costretto a fare quello che impone Renzi, un irresoluto Cuperlo, un evanescente Orlando, un assente Emiliano ed un Gentiloni, grande risorsa del partito, che continua a tacere. Eppure dopo una sconfitta del genere i responsabili dovrebbero essere costretti al silenzio e passare il testimone senza nessuna interferenza. Invece, pare che si aspetti che Renzi compia il suo capolavoro portando il partito alla scomparsa dopo aver impedito un governo con/o del M5S (con appoggio tecnico esterno) che avrebbe evitato le elezioni e allontanato il pericolo della “calata” dei barbari su Roma.

di Nino Lanzetta edito dal Quotidiano del Sud