La legge sui vitalizi e il mercato

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La legge sui vitalizi, firmata Richetti del PD ma voluta dal M5S, che se ne assume la paternità, è passata alla Camera dei deputati con 348 si e 17 no ed inviata al Senato per il voto definitivo. Salvo possibili e non improbabili sorprese dovrebbe diventare legge dello Stato prima che si concluda la legislatura.

Cosa dire se non alcune considerazioni di natura giuridica e politica.Cominciamo dalla prima. Secondo alcuni la legge conterrebbe elementi di incostituzionalità perché violerebbe i diritti acquisiti. (Che senza scomodare Rousseau) infrangerebbero la certezza del diritto ed il patto sociale in ordine alle legittime aspettative che si sono venute a creare nei confronti dei cittadini cui si verrebbe applicata una legge i cui effetti si sono consolidati nel tempo.

I diritti acquisiti sarebbero una categoria di diritti che, una volta entrati nella sfera giuridica del soggetto, diverrebbero immutabili. Secondo altri non si tratterebbe di diritti acquisiti ma di privilegi, divenuti intollerabili per la crisi economica che ci ha investiti. Secondo il professor Valerio Onida, costituzionalista e Presidente emerito della Corte costituzionale, nessun diritto acquisito è intoccabile, purché si resti nell’ambito della ragionevolezza. Il problema è di determinare il concetto stesso di ragionevolezza, il quanto ed il come della riduzione e chi lo stabilirebbe: impresa ardua e, in pratica, difficile da realizzare. Il principio di irretroattività –secondo molti giuristi – esisterebbe solo per la norma penale (art. 25 della Costituzione).

Da ultimo è opportuno ricordare che la Corte costituzionale si è già pronunciata in passato sulla materia dei diritti acquisiti nel senso che è possibile modificare rapporti sorti in passato (come il caso dei diritti acquisiti) purché non si violi la ragionevolezza, la disparità di trattamento, l’affidamento del cittadino nella certezza del diritto, di adeguatezza del trattamento rispetto al lavoro prestato. Ci saranno migliaia di ricorsi alla Corte costituzionale ed anche ai tribunali ordinari.

E veniamo alle considerazioni di carattere politico. Si teme ne possa derivare un conflitto sociale senza precedenti. Cesare Damiano del PD, partito che ha cavalcato l’onda populista entrando sul terreno del M5S per motivi furbescamente elettorali, esprime la sua paura che il ricalcolo possa essere esteso a tutte le pensioni dell’INPS conteggiate con il metodo contributivo. E questo aprirebbe un campo di portata senza precedenti senza sapere dove si possa andare a finire.

E’ un errore strategico grave e non meditato. Quali pensioni sottoporre a nuovo calcolo? Anche le baby pensioni e quelle dei politici e sindacalisti per le quali sono stati accreditati solo contributi figurativi (senza esborso di denaro da parte degli interessati)? Tutte o solo quelle che superano un certo importo (3.500/4.00 al mese nette o lorde?) violando così il principio costituzionale della uniformità di trattamento? E se si dovesse procedere al ricalcolo di tutte le pensioni, sarebbe materialmente impossibile farlo in tempo ragionevole.

Il consiglio regionale della Campania ha già deliberato l’adesione volontaria alla nuova norma e non c’è da sperare che il Senato (che si voleva abolire!) riesca a metterci una pezza respingendola o non approvandola in tempo. E’, comunque, una strana strategia quella di perseguire una equiparazione sociale togliendo diritti e non allargandoli. In conclusione: per incassare pochi spiccioli si è voluto creare un ambaradan per contrastare i grillini che si intestano la legge. Le misure alternative sarebbero state molte e più sostanziose a partire dal risparmio sul costo della politica.

La Regione Sicilia ha rimesso in essere le province per sistemare i politici in eccesso, anche se non paga gli stipendi ai dipendenti e la Regione Lombardia ha speso 23 milioni di euro per comprare tablet da usare in un referendum consultivo (sull’autonomia!) inutile ed improduttivo di conseguenze giuridiche. Se si volessero veramente ridurre i costi della politica bisognerebbe cominciare proprio dalle Regioni e poi riducendo ai livelli europei le retribuzioni dei parlamentari e degli incarichi politici nella Pubblica Amministrazione e frenare, in qualsiasi modo possibile, gli stipendi e le buonuscite dei Manager di Stato e privati.

E, infine, perché non si toccano le grandi ricchezze, le rendite finanziarie, le grandi proprietà, le banche, che si salvano con denaro pubblico e si regalano ai privati, si svendono i gioielli di famiglia agli stranieri? E’ il mercato, ragazzi! Rispondono i soloni della globalizzazione selvaggia e senza regole, ammettendo implicitamente che anche la politica la fa il mercato, anzi la finanza. Allora non resta che cambiare il mercato sempre che la politica riesca a riappropriarsi della sua funzione!

di Nino Lanzetta (edito dal Quotidiano del Sud)