L’Irpinia riparta da una politica innovativa 

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Dopo il caos sulle candidature alle prossime elezioni politiche è auspicabile che la campagna elettorale venga svolta con un minimo di concretezza morale. Al tal riguardo è necessario non solo di abbandonare la via demagogica delle facili promesse, ma è urgente concorrere a costruire un clima di sufficiente serenità evitando la speculazione sulle paure. Consentendo, nel contempo, una maggiore partecipazione al voto, soprattutto delle fasce elettorali giovani. Nelle mia riflessione pubblicata lo scorso martedì ha sostenuto che chi ha paura non pensa al futuro e non lo cerca. Conseguentemente se i giovani non cercano il futuro perché dovrebbero andare a votare? L’unica risposta concreta e credibile è un percorso progettuale, fattibile e percepibile, per creare nuovo lavoro. La campagna elettorale in pieno svolgimento ha questo compito prioritario di progettazione e programmazione di prospettive lavorative concrete e innovative. Una di queste, a modesto avviso di chi scrive, è la messa in valore dei «beni comuni» che sono altra cosa dalla messa in comune degli spazi del consumo privato. Più quei beni sono erosi e minacciati, e più nasce l’urgenza di preservarli e di usarli, come leva di un’altra economia, via via che il capitalismo finanziario si avvita su sé stesso, nonostante il sogno di Trump di promuovere un mondo «postglobal » a guida Usa. Che cosa sono, intanto, questi «beni comuni». Natura, ecosistemi, acqua, mare, fonti energetiche, biosfera e masse non reintegrabili, bio diversità… Ma non è tutto qui. Beni comuni sono anche le istituzioni, il capitale sociale, la conoscenza, le norme, il volontariato. E gli spazi simbolici della vita pubblica. Insomma i beni comuni rappresentano insieme un valore costitutivo di in idem sentire come piattaforma di un fare insieme, di una dimensione condivisa. Dunque «bene comune» è prima di tutto una dimensione di senso: è lo spazio potenziale delle relazioni simboliche dentro le quali si forma la soggettività e il protagonismo attivo e responsabile dei giovani. Solo a questa condizione lo si può mettere a frutto, usarlo come beneficio dell’ecosfera e limite al riemergente titanismo economico e politico. Di qui nasce l’idea – sulle ceneri di finanza e consumo distruttivo – di un’altra economia possibile, la green economy, che non è mera fantasia di un romantico ecologismo, ma è luogo di cura degli spazi urbani, della salute, dei sistemi formativi. La nostra bella Irpinia ha estremamente bisogno di questi nuovi percorsi progetttuali: la palude ecologica della Valle del Sabato, Isochimica compresa, ha urgente bisogno di una politica innovativa e non palliativa, che risolve alla radice i problemi incombenti, a danno della salute e dell’ambiente. Al catalogo dei beni comuni si deve senz’altro aggiungere il lavoro come condizione necessaria per conferire dignità e progetto al valore persona. Perché tra lavoro di domani e beni comuni il nesso è evidente. Quel che ancora non è evidente, nel nostro Paese, è il legame tra il lavoro di oggi, lo stesso sentire di oggi e la prospettiva futura. Circolano in Italia, con folle insistenza, gli spettri di troppe paure: manca la piattaforma culturale e concreta che consente di pensare al futuro. Quando il pensiero di prospettiva cede il passo alle paure non si intravede né il futuro del singolo, né quello di una dimensione collettiva per una umanità alla ricerca, di continente in continente, delle tappe necessarie di un destino comune. Questa istanza, locale e globale, è la vera, grande sfida della campagna elettorale ormai nel suo pieno svolgimento.

di Gerardo Salvatore edito del Quotidiano del Sud