Alleanza, la fragilità di un sistema

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Mancano più di tre mesi al test elettorale delle amministrative e i partiti stanno affrontando in questi giorni i delicati temi delle alleanze e la selezione dei candidati. Andranno al voto sei capoluoghi di regione (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Trieste), 15 capoluoghi di provincia e 1300 comuni oltre alla regione Calabria che deve eleggere il nuovo governatore. Sono passati quasi vent’anni dal 1993 quando cambiò il sistema e venne introdotta l’elezione diretta dei sindaci. Era un modo per riavvicinare i cittadini alla politica in un momento di grandi difficoltà per le forze politiche tramortite dalle inchieste di Tangentopoli. L’esperimento ebbe successo. Emersero nuovi personaggi e cominciò allora una politica affidata ai singoli leader e non ai partiti. Oggi la forza dei partiti è sempre debole ma è debole anche la leadership locale. Il centrodestra si è affidato a candidati civici scelti direttamente dai leader della coalizione Salvini e Meloni e il centrosinistra riconferma l’uscente Sala a Milano e ha scelto due ministri del governo Conte per Roma e Napoli. Figure che dimostrano la difficoltà attuale di creare dal basso una classe dirigente e che devono dimostrare durante la campagna elettorale e soprattutto dopo, la loro forza ed autonomia dal potere delle segreterie romane. Quello che emerge è, insomma, l’estrema fragilità di un sistema che non è in grado di offrire una prospettiva e una visione ad un’opinione pubblica già disorientata dalla terribile esperienza della pandemia e che avrebbe bisogno di certezze. La debolezza dei partiti è del resto dimostrata dal governo Draghi che ha impresso un’accelerazione all’intero sistema politico e ha messo in crisi gli assetti tradizionali. La prova più evidente è nel centrodestra che ha ritrovato l’unità sui nomi ma con posizioni sempre più divergenti tra Lega e Fratelli d’Italia con l’idea di Salvini di federare i gruppi parlamentari, una proposta subito bocciata dalla Meloni che ha il vento dei sondaggi che soffia nelle proprie vele. Non decolla nemmeno l’alleanza tra Pd e Cinque Stelle, asse del governo Conte ma che trova poco spazio a livello locale tranne l’intesa raggiunta a Napoli. Le contraddizioni su come dovrà nascere la nuova coalizione sono evidenti e si moltiplicano le idee di chi, contrario all’intesa con i grillini, propone di far nascere un fronte dei riformisti alternativo ai sovranisti. Siamo dunque alla vigilia di un possibile big bang politico dagli effetti imprevedibili che potrebbe modificare radicalmente il quadro delle alleanze. Nell’attesa, senza grande entusiasmo e partecipazione, i partiti si preparano al voto in autunno. Solo dopo questo test si capirà qualcosa in più sull’evoluzione del sistema politico italiano che da tempo si preoccupa più di salvaguardare compromessi e logiche di coalizione rispetto agli interessi più generali. In questo lungo inverno politico più che i laboratori di alleanze agli italiani interessano i progetti ma come scrive Aldo Cazzullo “è evidente che oltre alle difficoltà dei vari partiti, oltre alla storia delle singole città, c’è un dato comune: in Italia i migliori non vogliono più fare politica. Prima o poi si voterà per un nuovo Parlamento, che avrà 345 seggi in meno. Ogni deputato e senatore peserà più di prima ma non è detto che conterà più di prima. Le istituzioni incidono quando hanno credito e prestigio. Se il problema è la selezione della classe dirigente allora questo pigro ritorno alle urne e quindi alla democrazia dopo la notte del Covid dovrebbe dare la scossa un po’ a tutti”. E’ difficile costruire qualcosa di credibile e duraturo in fretta e furia ma, usando una metafora calcistica visto che si stanno disputando gli Europei, almeno rendiamo il terreno di gioco nuovamente praticabile per gli elettori.

di Andrea Covotta