Alvino e Branca si raccontano a Conversazioni in Irpinia: così la nostra terra continua a vivere nella scrittura

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Due differenti sguardi sulla scrittura in cui l’Irpinia entra con forza, ora madre, ora matrigna ma sempre termine di paragone, spazio capace di plasmare l’esistenza. Sono quelli di Maria Consiglia Alvino e Mariana Branca, scrittrici esordienti, protagoniste dell’ultimo appuntamento di Conversazioni in Irpinia, rassegna curata da Emilia Cirillo e Franco Festa, nella cornice della Biblioteca Provinciale. Due differenti esordi letterari, “A volte la neve” per Maria Consiglia Alvino, che racconta le vicende di un gruppo di giovani, alla ricerca del loro posto nel mondo, tra desiderio di partire e nostalgia della propria terra e “Non nella Enne non nella A, ma nella Esse”, edito Wojtek, arrivato finalista alla XXXIV edizione del Premio Calvino per Mariana Branca, storia del genio dell’elettronica Nicolas Jaar, in cui la scrittura diventa strumento per ritrovare la strada di casa. Lo racconta Branca nello spiegare come sia nato il suo romancz “Ero a Lione, in uno dei miei vagabondaggi per l’Europa e ho cominciato a scrivere perchè mi mancava casa. Sentivo il bisogno di un luogo che mi facesse stare bene, di qui il richiamo alla scrittura come spazio in cui mi sento protetta e alla mia Montella, dove trascorrevo tanto tempo con i miei amici, ascoltando musica o solo chiacchierando”. Confessa come “non avevo mai pensato di pubblicare prima di incontrare la casa editrice Wojtek di Pomigliano”. Una genesi non così diversa per Maria Consiglia : “Ero a Strasburgo per il mio dottorato, quando ho cominciato a scrivere, vivevo come una sensazione di alienazione, anche io scrivevo per sentirmi a casa. Sono tornata in Italia, ho provato, senza successo, a inserirmi nel mondo accademico e proprio per rielaborare questa sorta di lutto ho cominciato a scrivere. Avevo conosciuto grazie alla comunità Versipelle l’editore Michele Caccamo ed è stato lui a chiedermi di leggere alcuni miei scritti”. Il rapporto con l’Irpinia, lo ribadisce più volte, “un rapporto conflittuale. Quando sono tornata ero comunque cambiata, ho cominciato a insegnare e se da un lato ero contenta di aver trovato la mia strada  e dunque un mio posto nella terra in cui sono nata, dall’altra ho toccato con mano come la mentalità continui ad essere la stessa, dominata da raccomandazione e clientelismo. E’ stato un ritorno dolce  e amaro al tempo stesso”. Non nasconde la sua amarezza Franco Festa nel ribadire come “Il Sud è sparito dall’agenda dei governi ed è sempre più in crisi, proprio perchè restano immutati i meccanismi di controllo del potere politico e culturale. Testimonianze come queste ne sono la conferma”. E spiega come i due romanzi siano profondamente diversi, se “A volte la neve” coinvolge immediatamente il lettore grazie alla forza dei personaggi, il romanzo di Mariana Branca può apparire impegnativo per chi si avvicina alla lettura, “sembra creare le condizioni per non farsi leggere, a causa di un linguaggio molto innovativo. Entrambi sono due libri ingannatori, che chiedono di andare oltre le apparenze, quello di Maria Consiglia nasconde dietro la semplicità della narrazione la profondità dei personaggi, quello di Mariana chiede al lettore di farsi trasportare dal suono per poi conquistarti”. E’ quindi Emilia Cirillo a sottolineare come il romanzo di Maria Consiglia Alvino sia carico di pathos “La protagonista arriva per partire ma poi ritorna per fare cose gioiose” e confessa di essere stata colpita dallo stile di Branca che richiama la musica con un incipit folgorante. E se Alvino ammette di essersi liberata “un po’ alla volta delle influenze della letteratura che la opprimeva attraverso uno stile volutamente semplice. Volevo togliermi il greco dagli occhi, e ho cercato di ridurre tutto all’essenzialità. Anche se nei monologhi interiori emerge la mia vocazione di poetessa, l’altra parte di me”, Branca ammette come abbia sperimentato differenti stili narrativi e “nella scrittura del romanzo ho avuto l’impressione di non avere sempre il controllo della parola, per me la parola è suono innanzitutto e quando leggo mi piace cercare di comprendere l’universo di chi scrive”. L’amicizia è un altro dei temi ricorrenti nei due romanzi “la vita per me è incontro, condivisione. Non potrei immaginare le mie giornate senza gli amici con cui ho condiviso il mio cammino” spiega Alvino, mentre Branca confessa come “Il racconto da cui nasce il mio primo romanco era inserito in una serie di racconti dedicati all’Irpinia e l’Irpinia torna con forza nel mio ultimo romanzo. Nel mio peregrinare mi sono chiesta spesso se mi piacerebbe tornare a Montella. Non so se tornerò qui ma certamente non riesco a separarmi, nello scrivere, dai luoghi che mi hanno formato”. Alvino confessa di aver già fatto la scelta di tornare “Ma il mio ritorno è stato accompagnato da una ripresa dell’estetica del lutto. Non riesco a farmi piacere Atripalda, la generazione post sisma è terremotata dentro, convinta che la bruttezza e la mancanza di attrattive di tanti nostri paesi sia la normalità. L’Irpinia torna anche nei miei romanzi in termini di amore per le persone che sono qui ma di conflitto con la società di cui si fa espressione”