Cambiamento o grande bluff?

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Aboliremo la Fornero, daremo il reddito di cittadinanza a sei milioni di poveri, abbasseremo le tasse, espelleremo 600.000 clandestini, e ancora: prima gli italiani, onestà, onestà sono stati gli slogan che hanno fatto balzare il M5S al 32% dei voti e la Lega a ritrovarsi in una collocazione nazionale al 17% e, per effetto di una insulsa legge elettorale – il Rosatellum – farli arrivare al governo del Paese, complice una arrogante miopia di Renzi che pose il veto al PD di dialogare con i Cinque Stelle.

I due partiti non hanno stipulato una alleanza politica ma firmato un “contratto” di Governo, nel quale hanno concordato che ciascuno avrebbe messo in essere le promesse elettorali a prescindere dalla reale possibilità e dai costi, anche a rischio di provocare uno sconquasso economico. Si sono qualificati come il governo del cambiamento ma dopo sei mesi hanno dimostrato di essere il governo della continuità sia nelle nomine (altro che fuori i partiti dalla RAI!) sia nel riproporre condoni, aumentare il debito pubblico e la confusione amministrativa mettendoci del loro una buona improvvisazione e una buona dose di supponenza e di impreparazione.

In comune Di Maio e Salvini hanno l’avversità all’Europa, all’Euro, ai migranti e un buon uso dei social e della comunicazione. Diffidano dei giornali e di coloro che la pensano diversamente cercando di mettere il bavaglio alla stampa libera e deridendo esperti, tecnici e oppositori. Il risultato di questo “nuovismo” è un metodo di governo basato sugli annunci e su un cambiamento di regole e di conoscenze giuridico-economiche che fideisticamente assicurerebbero un futuro migliore.

La legge di bilancio, che chiamano manovra del popolo perché contiene una buona parte delle promesse elettorali, risponde a questi presupposti. E’ fatta a debito e con previsioni (crescita del PIL all’1,5%, dismissioni patrimonio dello Stato per 18 miliardi, deficit al 2,4%) che non stanno né in cielo né in terra. Una manovra sulla quale si dice di trattare con l’Europa, per evitare la procedura d’infrazione, senza, però, modificare le cifre, come se si lasciassero invariate le somme ma ci si obbligasse – senza farlo sapere al “popolo” – di non spenderle. I giudizi negativi sono unanimi ma quello dell’economista Roberto Perotti, professore della Bocconi ed ex commissario alla spending revue (Repubblica, 2811.28) è impietoso: ” …. Questa manovra è frutto di dosi massicce di dilettantismo e ciarlataneria”.

Cominciamo dall’abolizione della Legge Fornero. Non si parla più di abolizione sic et simpliciter ma di aggiustamenti: quota 100 solo per tre anni e con penalizzazioni (3% per ogni anno di anticipo, solo dall’aprile del 2019 e con finestre, e per gli statali da settembre, divieto di cumulo con altro lavoro. Per il reddito di cittadinanza è ancora peggio. Si è partiti dai famosi 780 euro ad una platea di circa 6 milioni di persone con finanziamenti certi di cui si sbandieravano i fogli, mai, peraltro, resi pubblici, per arrivare a più miti consigli. Il tutto nel disconoscimento del reddito di inclusione già in corso di erogazione che poteva andare rifinanziato con maggiori risorse, rifiutato solo perché fatto da un precedente governo, nel principio dell’azzeramento del passato e nella proposizione di un nuovo corso nel segno del cambiamento. Le somme previste in manovra non assicurano neanche la metà dei 780 euro promessi e i centri dell’impiego, da riformare in poco più di 3 / 4 mesi dovrebbero offrire tre lavori “congrui” nello spazio di cinquanta chilometri. Come se in regioni come la Sicilia, la Campania si potessero creare milioni di posti di lavoro!

Per il resto ancora peggio. Il decreto dignità si sta dimostrando un flop colossale e il decreto sicurezza una inutile e cinica barbarie contro i migranti cui vien tolto il permesso umanitario buttandoli sulla strada e costringendoli – non essendo in grado di espellerli- all’anonimato e ad una possibile criminalizzazione. E’ scomparsa la parola “integrazione” e sono stati aboliti gli Sprar comunali che, in un certo senso, funzionavano e creavano integrazione.

Le grandi opere sono al palo e non si sa come andranno a finire con un ministro incompetente e superficiale come Toninulla. A più di tre mesi dalla caduta non è ancora iniziata la demolizione del Ponte Morandi di Genova e chi lo ricostruirà. Insomma quello che sarebbe dovuto essere il governo del cambiamento, si sta dimostrando anche con le storie dei padri che ricadono sui figli, i condoni, le nomine Rai e negli altri vertici manageriali il governo del continuismo all’in – segna della gestione del potere a fini di consenso elettorale e con lo sprovveduto Di Maio al servizio del tristo Salvini che rischia di far cappotto. Il tutto in una progressiva decadenza morale, economica e culturale di un Paese che è pure stata la settima potenza mondiale e nel quale si sta assistendo ad collasso della sinistra, che pare irreversibile, e a una crescita smisurata di una destra sovranista, autoritaria e antieuropea che si appresta a prendere le redini del Governo, purtroppo -come successe con il fascismo- con la benedizione del popolo!

di Nino Lanzetta edito dal Quotidiano del Sud